venerdì 19 novembre 2010

Sergente Kirk: l’alba delle riviste d’Autore italiane (originariamente apparso su Fucine Mute 25)

Sergente Kirk: l’alba delle riviste d’Autore italiane

«L’Italia ha il primato delle belle riviste di fumetto d’autore, ben stampate e su carta di qualità e di alta grammatura, con rilegature brossurate e comode costoline da collezionisti…»
Sembrano passati secoli e invece quando Francesco Coniglio si esprimeva così (nella posta di Blue n° 9) eravamo solo alla fine del 1991. Le «riviste di fumetto d’autore» c’erano ancora, ed in gran numero, anche se di lì a poco avrebbero cominciato la lunga agonia che le avrebbe portate all’estinzione definitiva. Corto Maltese, Comic Art, L’Eternauta, Il Grifo, Torpedo, Nova Express, Bhang e Frigidaire riempivano ancora le edicole, ultimi testimoni delle meraviglie che durante il decennio precedente avevano caratterizzato l’editoria a fumetti italiana. Ma il gusto per i contenitori di prestigio risale a molti anni prima e sicuramente è sul finire degli anni ’60 che si ha in Italia il primo esempio di rivista d’avventura “adulta”.
La rivista-contenitore ha da sempre accompagnato lo sviluppo del fumetto in Italia, da Il Corriere dei Piccoli (che però “epurava” le nuvolette in favore delle didascalie rimate) a Jumbo (primo vero “giornalino” di fumetti), a Il Giornalino (rivolto però tuttora ad un pubblico molto giovane), ma è con il 1965 che questa formula prende drasticamente coscienza di sé e dei suoi contenuti. In quell’anno nacque infatti Linus, che introduceva massicciamente l’impegno come base dei fumetti e l’approfondimento critico come dovere dei lettori. In antitesi a quest’ottica revisionista (che alla fin fine penalizzava un po’ proprio i fumetti, quasi solo corollari degli articoli che ne parlavano) si presentò nelle edicole italiane una bella rivista spillata di grande formato che pubblicava non strisce ma lunghi romanzi a fumetti: Sergente Kirk.

Linus ebbe un gran successo e fece un certo numeri di proseliti (cioè di scopiazzature): per esempio in Francia ci fu Charlie, mentre in Italia la Mondadori sfornò nel 1972 Il Mago. Il 1967 vide la nascita di Eureka, clone di Linus dell’allora Editoriale Corno, ma fu anche testimone di una voce che cantava fuori dal coro. Nel luglio di quell’anno si affacciò infatti nelle edicole italiane il nostalgico ed elegante Sgt.Kirk.
La grafica spartana e la stampa che non si spingeva oltre il bianco e nero erano assimilabili a quelle delle altre riviste coeve, ma il formato più grande e la variopinta copertina di Hugo Pratt segnalavano che un progetto diverso era in atto, e giustificavano il prezzo quasi doppio (“addirittura” 500 lire!) rispetto alle compagne d’edicola. Evidentemente l’editore Florenzo Ivaldi credeva molto nel progetto, e come avrebbe non potuto visto che il “suo” Kirk rappresentava il concretizzarsi di un vecchio sogno?



Correva l’anno 1947 ed un giovane Ivaldi, anch’egli provatissimo nel corpo e nell’anima da un feroce dopoguerra, passeggiava desolato per la natia Genova, quando ebbe una vera e propria folgorazione. In mezzo a tante rovine e macerie la sua attenzione fu attirata da una rivista che campeggiava in un’edicola: era l’indimenticabile Asso di Picche, frutto del lavoro e della passione del cosiddetto “gruppo di Venezia”, quei giovani fumettisti che poi avrebbero radicalmente contribuito allo sviluppo del fumetto argentino. Fu in quell’ambito che mosse i primi passi, tra gli altri, il Maestro Hugo Pratt, e furono proprio i suoi disegni ad incantare Florenzo Ivaldi. (quei pochi appartenenti al “gruppo di Venezia” che non avrebbero segnato il fumetto come Alberto Ongaro o Dino Battaglia hanno avuto comunque sfolgoranti carriere in altri ambiti: pensiamo al pittore Ferdinando Carcupino o al regista Damiano Damiani)
Fattosi vent’anni dopo “una posizione” (era agente immobiliare), Ivaldi poté coronare il suo sogno non solo acquistando i diritti per il materiale del mitico Asso di Picche, ma facendo da vero e proprio mecenate per il suo idolo Hugo Pratt. Gli procurò infatti una casa a Genova, lo lasciò libero di produrre come più gradiva e lo pagò cifre astronomiche per l’epoca. D’altronde il lavoro di Pratt, allievo ideale di Milton Caniff, era già conosciuto ed apprezzato a livello internazionale e nel 1967 aveva già realizzato opere importantissime, se non vere colonne portanti del fumetto mondiale, come Fort Wheeling, Ticonderoga Flint, Ernie Pike, i racconti di guerra per l’inglese Fleetway e, ovviamente, El Sargento Kirk.
La controtendenza di voler proporre al pubblico principalmente solo puro e nobile intrattenimento fu subito chiara dall’editoriale del primo numero, in cui Ivaldi dichiarava (tra vaghi riferimenti e frecciatine ad altre scelte editoriali) di voler «riunire i fili di un discorso interrotto tanti anni fa, nell’età d’oro dei comics, quando l’avventura, in tutte maiuscole, cavalcava incontrastata le pagine della narrativa a strisce». Le Edizioni Ivaldi volevano insomma proporsi «come la testimonianza di affascinanti e validi momenti dei comics, e non solo di quelli statunitensi», però non si limitavano a questo: «Ma neppure ci terremo lontani dai “nuovi” autori ed eroi, giacché è nel nostro proposito di allargare il dialogo sui fumetti dell’oggi».
Ed infatti le proposte di quel primo numero di Sgt. Kirk spaziavano temporalmente dal 1934 di Terry and the Pirates di Caniff (penalizzato purtroppo da una riproduzione scadente) al contemporaneo 1967 di Una ballata del mare salato, il nuovissimo fumetto di Pratt in cui compariva per la prima volta il suo eroe più famoso, quello a cui sarebbe stato maggiormente legato il suo nome: Corto Maltese. Delle sette storie presentate sul numero 1 ben cinque erano disegnate proprio da Pratt, a ribadire ulteriormente il profondo amore che nutriva Ivaldi nei confronti delle opere di questo Maestro. La paternità letteraria di Ernie Pike, Il Sergente Kirk, Ticonderoga e di altre opere frutto della fantasia di Hector G. Oesterheld (padre anche dell’Eternauta) verrà riconosciuta soltanto in seguito e nel limitato frangente del sommario di alcuni numeri dopo il 30 (persino lo stesso Pratt, nella sua autopresentazione su Sgt. Kirk 6 lo citerà come semplice editore insieme al fratello).
Sgt. Kirk cerca di ritagliarsi un posto al sole nelle edicole italiane puntando sì sull’effetto nostalgia che opere come il Terry e i pirati di Caniff o La radio pattuglia di Schmidt possono esercitare, ma cercando anche di creare dei nuovi “miti” fumettistici recuperando lavori, non solo di Pratt, dei decenni precedenti, mettendo quindi in atto il proposito di “riunire il filo di un discorso interrotto tanti anni fa”. Purtroppo le tavole che vengono dall’Argentina sono state pensate quasi tutte per un formato ed una qualità di stampa differenti da quelli di Sgt. Kirk. Spariscono quindi le mezzetinte e le vignette vengono rimontate ed allargate a seconda delle esigenze: Lele Vianello muoverà i primi passi di collaboratore di Pratt proprio ritoccando il berretto del Sergente Kirk (come racconta nel volume L’ultima ballata dedicated to Hugo Pratt edito da International Comics club) e adattando più in generale tutte le vignette.
La qualità del prodotto presentato è indubbiamente innegabile, a dimostrazione di questo fatto Sgt. Kirk avrà una certa “permeabilità” con il ben più consolidato Corriere dei piccoli, che ospiterà Corto Maltese e Randall e di cui la rivista di Ivaldi riproporrà alcuni successi; inoltre la presenza di Terry e i pirati, Bob Star (ovvero Red Barry), Betta (cioè Little Annie Rooney) e dei classici italiani quali L’Asso di Picche avrebbe dovuto garantire un certo “zoccolo duro” di collezionisti nostalgici (senza parlare dei bellissimi articoli sui fumetti, incredibilmente moderni e fonte importantissima per chi voglia documentarsi o approfondire la conoscenza di un’epoca). E invece Sgt. Kirk non godeva per nulla di buona salute.



Dalla lunga intervista che Dominique Petitfaux ha fatto ad Hugo Pratt e che costituisce il corposo volume All’ombra di Corto (Rizzoli Milano Libri edizioni, 1992, per l’edizione italiana) si evince che Sgt. Kirk aveva una tiratura bassissima, impensabile per l’epoca: solo 3000 copie. Forse questa informazione si riferisce solo ai fascicoli degli anni ’70, tanto più che su Comic Art 75 del gennaio 1991 Rinaldo Traini, che di Sgt. Kirk fu collaboratore, afferma che «i primi numeri furono addirittura distribuiti a grande tiratura nelle edicole». Florenzo Ivaldi ha invece imputato le cause dello scarso successo della sua rivista ai distributori, poco propensi a curare a dovere la diffusione delle riviste di una casa editrice piccola e giovane, quindi poco importante.
Sia come sia, Sgt. Kirk non resistette nelle edicole (che peraltro, se fossero vere le cifre riportate nel volume di Petitfaux, non poteva nemmeno coprire adeguatamente) per più di un anno e mezzo. Sul numero 18 del dicembre 1968 compare un lungo annuncio (ben quattro pagine aggiunte alla foliazione!) che presenta i programmi futuri dell’Editrice Ivaldi, una breve colonna di pubblicità per le nuove proposte ed un referendum da compilare ed allegare all’abbonamento. Sì, la vita editoriale di Sgt. Kirk non è ancora terminata, ma è costretta ad affidarsi al sistema dell’abbonamento per contare su un pubblico di lettori fedeli che ne assicuri l’esistenza. Per ritentare la carta dell’edicola vengono confezionate due riviste più economiche e “mirate”: Tilt (tentativo di rifare Mad all’italiana) ed il rinato L’Asso di Picche. Il primo è «un bimestrale satirico a basso prezzo», il secondo «un mensile dell’avventura a basso costo, la cui periodicità potrà variare in conseguenza dell’accoglienza dei lettori». Ma questa “accoglienza” fu tale che dopo un paio di numeri entrambe le riviste dovettero chiudere. Sicuramente più interessante di questi effimeri e sfortunati tentativi editoriali fu l’allettante volume Kirkissimo ’69, raccolta di materiale del grande Milton Caniff che veniva dato in omaggio agli abbonati, dando così inizio all’abitudine di regalare belle edizioni fuori commercio a chi si abbonava.
Il 1969 segnò quindi un drastico aggiustamento di tiro per Ivaldi, ma almeno fu interamente coperto, per tutti e dodici i mesi, dai fascicoli del suo Sgt. Kirk (cui va aggiunto, non dimentichiamocene, il «primo dizionario dei comics»: A Z Comics, presentato da Cesare Zavattini e compilato dai nomi fondamentali della critica fumettistica italiana, affiancati per alcune voci da Hugo Pratt). Poi, per un paio d’anni, il silenzio; fino alla rinascita come «trimestrale dei comics» nel 1973, con una grafica più moderna ed altri accorgimenti che ne elevarono il prestigio: l’introduzione di un’ottima carta patinata opaca e tavole di fumetto prese un po’ da ogni parte del mondo (Cuba, Cecoslovacchia, Romania, ecc.) ospitate in seconda e terza di copertina come testimonianze e documenti. Anche se Randall viene letteralmente fatto a brandelli per esigenze d’impaginazione, non si può evitare di ammirare l’evidente passione che sta alla base della scelta di pubblicare ancora fumetti nonostante tutte le difficoltà, corredati peraltro da articoli sempre interessanti e puntuali (senz’altro da segnalare, tra i tanti, I “manga” nipponici di Pietro Favari sul numero 33, in cui si parla dei fumetti giapponesi con un incredibile anticipo sui tempi).
Con il numero 35, del gennaio-febbraio 1974, Sgt. Kirk recupera apparentemente un po’ di fiato: da trimestrale passa a bimestrale. Inoltre si avverte chiaramente l’intento di selezionare con sempre maggior cura il materiale fumettistico presentato: lo spazio non è più tutto dedicato ai vecchi amori di Florenzo Ivaldi, ma questi vengono affiancati da altre opere recuperate dal passato più recente (Kim de la nieve, Kiwi…) o addirittura ancora inedite. Il caso più importante è sicuramente quello di Grugef (cioè Gianni Forgiarini), “orfano” di Horror, la rivista di Gino Sansoni, che dopo varie vicissitudini professionali trova un buon approdo proprio sulle pagine di Sgt. Kirk. Dal 1975 presenterà addirittura sulle pagine della rivista non più solo storie autoconclusive ma anche un suo lungo romanzo a fumetti: Zembo Testadirame. Grugef è solo il primo di un gruppo di disegnatori che approderanno a Sgt. Kirk o che da essa saranno proprio “scoperti”, e che in seguito sarebbero rimasti nell’ambiente del fumetto pur con alterne fortune: Beppe Madaudo, Piero Alligo, Ramon Cipressi, Luciano Baiocco, ecc. (persino Carlos Sampayo e Josè Muñoz stettero per dare il loro Alack Sinner ad Ivaldi)
Dal 1975 vengono introdotte progressivamente delle novità che parrebbero assicurare i lettori sulla buona salute di Sgt. Kirk: le riviste sono numerate progressivamente come fascicoli di un’enciclopedia, che uniti danno l’annata completa, mentre dall’anno successivo le copertine spillate vengono sostituite da una bella ed elegante brossura ruvida (e le pagine sono cucite sulla costoletta, non incollate) ulteriormente impreziosita dalle stupende illustrazioni di Sergio Toppi.
Ma il numero 50 (luglio-agosto 1976) non è festeggiato con l’entusiasmo che un traguardo del genere avrebbe dovuto suscitare: «C’erano diversi modi per festeggiarci. Tra lo scialo e l’austerity abbiamo scelto la seconda. Solo un numero di copertina un po’ più evidente […]».
E due uscite dopo, sul numero 52, ad aprire la rivista non è il consueto editoriale ma una preoccupante «lettera ai lettori per il 1977», in cui si annunciano l’adeguamento del prezzo alla nuova, incerta, realtà e la scelta di sospendere il metodo degli abbonamenti per affidarsi invece alla vendita diretta tramite poche librerie che si occupano di fumetti: in tutto sono solo sedici ed  il sud Italia è quasi del tutto privo di copertura. Pur con la possibilità di farsi spedire il materiale direttamente dalle librerie, la vita dei lettori  non è certo facilitata. Ormai la vita editoriale di Sgt. Kirk sembra ridotta al lumicino, ed infatti con il numero 55 (maggio-giugno 1977) si conclude la seconda serie della rivista, quella iniziata dopo tre anni di pausa con il numero 31.



L’anno successivo ci sarà un ulteriore spasmo di vita, ma la terza serie sarà la più breve in assoluto: solo sei uscite dal 56 al 61, e dei nove “racconti” presentati su questo ultimo numero ben sette fanno parte di storie più lunghe di cui vedremo in pochissimi casi la conclusione (Van Adams sarà ristampato integralmente da Ivaldi nel 1982, mentre per Wheeling 2  ci penseranno le edizioni Nuova Frontiera).
Ivaldi non desisterà comunque dal suo meritevole ruolo di mecenate per Autori più o meno affermati e nella collana Kirk Special (1982) ristamperà alcune storie illustrate di Pratt relative al periodo della sua collaborazione con Il Corriere dei Piccoli: I Giganti burloni, Le Avventure di Ercole, ecc.
E con la collana di volumi Superba Comix riprenderà, sempre dal 1982, il discorso interrotto con Sgt. Kirk, ristampando integralmente fumetti comparsi sulla rivista o attingendo ad altre fonti in perfetta sintonia per temi, stili ed autori. (dall’aprile 1982 al marzo 1983 il programma editoriale comprendeva nell’ordine: Le cronache di Ernie Pike di Oesterheld e Pratt, I grandi del giallo  di Milani e Toppi, Van Adams di Cipressi, I cinque della Selena di Milani e Battaglia, West! di Battaglia, Di Gennaro e Faustinelli, Sangue sulle stelle di Gastaldo e Droghetti, Johnny Focus II° di Micheluzzi, Storie di un altro evo e di altre realtà di Gaudenzi ed infine Hormiga Negra di Ciocca)
Nel luglio 1997 è inoltre uscito un Sgt. Kirk 62, ma giustamente la numerazione viene segnata tra parentesi, trattandosi di un albo celebrativo stampato in mille copie che presenta articoli commemorativi e fumetti slegati da quelli lasciati in sospeso sul numero 61.
Tirando le somme, si può dire che Sgt. Kirk sia senz’altro stato sempre coerente con la filosofia che stava alla sua base. Pur tra ritocchi, ritagli ed adattamenti, i fumetti ospitati sulle sue pagine sono stati celebrati e glorificati con una attenzione ed un entusiasmo che non lasciano dubbi sull’amore che era il principale motivo d’esistere della rivista. D’altronde come si poteva non amare la produzione di cui Ivaldi si fece paladino contro tutte le avversità e che talvolta fece la fortuna di altri? (come ad esempio nel caso di Gli Scorpioni del deserto e Corto Maltese). Per quanto grossolani ed imprecisi fossero gli adattamenti (quando non proprio imperdonabili…) hanno comunque contribuito alla diffusione italiana di un prodotto di ottimo livello che altrimenti chissà quando, e se, avremmo potuto vedere. Anche le ristampe in volume che fece la Mondadori di Sergente Kirk ebbero come base la versione rimontata di Ivaldi, ed è notevole la loro scorrevolezza nonostante la scelta di ripresentarle in quel formato nascesse da semplici ragioni di comodità. Come nel caso de L’Eternauta targato Eura, è alla versione apocrifa che è legato il ricordo della prima lettura di uno splendido fumetto, che se non teme il passaggio del tempo teme ancora di meno gli “assestamenti” che possono spezzare il suo ritmo ma non il suo fluire. Senza considerare che con le pubblicazioni Rintintin e poi Kirk western della Cenisio le tavole originali di El Sargento Kirk ed El Quebrado venivano smembrate in maniera ben più radicale.
Con Sgt. Kirk il mondo del fumetto nostrano ebbe una notevole scossa e tutto un nuovo mondo si spalancò davanti agli occhi dei lettori di Tex, Diabolik, Linus e Il Giornalino. L’elevatissima qualità di Corto Maltese, Ernie Pike, Patria Vieja e tantissimi altri fumetti era ulteriormente elevata a potenza dal realismo e dal coinvolgimento che li percorreva, cioè da quell’”impegno” che non era poi neppure tanto in nuce e che di lì a un po’ d’anni avrebbe dato i suoi frutti migliori con riviste come Totem, L’Eternauta e Corto Maltese.
Ma, appunto, i frutti sarebbero arrivati solo a cavallo degli anni ’70 e ’80 e le proposte di Sgt. Kirk non potevano sostenere il confronto con l’ondata di novità che Metal Hurlant avrebbe portato nel fumetto mondiale (e che Ferruccio Giromini fu tra i primi e più puntuali a rilevare sui numeri 51 e 52 di Sgt. Kirk) e che nei tardi anni ’70 funse anche da alibi per presunti “artisti” che periodicamente infestavano Alteralter, quali Rosco, Poiret, Bonzi e Kohler. Con tutta la buona volontà oggi non potremmo certo accettare questi tentativi arrancanti poco più che dilettanteschi che all’epoca venivano anche apprezzati in nome della “novità” e della barocca composizione di storie e disegni (d’altro canto anche l’Andrea Pazienza «sospeso tra Moebius e Fremura» viene da qui). Il ritorno all’ordine che promuovevano nuove realtà come 1984 (1979), Totem (1980) e L’Eternauta (il cui n°0 uscì nel 1980), riprendendo in realtà il discorso interrotto con Sgt. Kirk, dovette sembrare una boccata d’aria fresca. Finalmente i fumetti tornavano ad essere interamente realizzati da chi sapeva farli, che giustamente recuperava quell’aura mitica che Ivaldi gli aveva imposto già quindici anni prima.

Nota per i collezionisti

Ovviamente i vecchi fascicoli di Sgt. Kirk, già poco diffusi all’epoca e vittime delle vicissitudini editoriali di cui abbiamo detto, non sono sempre facilissimi da reperire. Una fumetteria abbastanza importante dovrebbe avere qualche possibilità di procurarli, ed il prezzo potrebbe anche non essere altissimo (nel 1998, in seguito al rilevamento di un magazzino, se ne vendevano alcune copie a 12 000 lire). I numeri più difficili da trovare non sono comunque i primissimi ma il 9, il 10 e (chissà perché) il 21. Un Sgt. Kirk n° 11 non è mai esistito, ma il numero 12  fa  le  veci  di  entrambi: la doppia   numerazione    11/12   compare all’interno mentre in copertina campeggia solo il numero 12.
Questo per quel che riguarda la rivista in sé e per sé: per i volumi speciali che furono stampati e regalati agli abbonati il discorso è radicalmente diverso. Elencare le qualità cartotecniche e redazionali dell’ormai mitico Citizen Caniff e degli altri “tesori” è come tormentare un diabetico magnificandogli il piacere di un profiterol o di una sachertorte: non è tanto il costo elevatissimo di quei volumi a renderli preziosi quanto la loro estrema rarità. Tanto per citare uno dei casi più eclatanti, del volume cartonato orizzontale di Wheeling (che già di base tocca ormai una valutazione intorno al mezzo milione) fu stampato un “tirage de tete” di 500 copie, corposo circa un terzo in più rispetto il volume definitivo (3,7 centimetri contro i 2,5 dell’edizione “ufficiale”), allestito con quella che una volta veniva chiamata “carta di qualità”, ruvida, resistente e solitamente usata per le litografie (e non è escluso che questa prima raccolta di Wheeling sia stata proprio litografata!). Se ne trovate una copia alle mostre o da un collezionista siete proprio fortunati, ma preparatevi ad un prezzo esorbitante…

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