lunedì 28 marzo 2016

Fumettisti d'invenzione! - 96

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – SERIE (pag. 19)

THE AUTHOR
(Italia 2012, in Fumetti Crudi, © Bigio/Shockdom, umorismo)
Bigio [Luigi Cecchi]

Il fumettista Bigio, autore delle strip di Drizzit, sta scrivendo il suo primo romanzo fantasy e in suo soccorso compare la musa della commedia Talia, seguita da altre muse che sconvolgeranno comicamente la sua vita. Un caos a cui contribuisce anche il suo orsacchiotto di pezza Alonso.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

LOOKING FOR HOOVER (PER AMORE DI HOOVER)
(Argentina 1991, in Puertitas, © eredi Trillo/Zaffino, fantascienza)
Carlos Trillo (T), Jorge Zaffino [con la collaborazione di Marcelo Basile] (D)

Il detective del futuro Hoover (con un occhio cibernetico, una fidanzata selenita difficilissima da eccitare e una segretaria robot innamorata pazza di lui) viene ingaggiato nientemeno che dal redivivo Walt Disney scongelato di fresco dal sonno criogenico in cui la leggenda vuole sia stato indotto dall’ibernazione. Walt vorrebbe che Hoover ritrovasse il suo figlio prediletto ma in realtà l’ingaggio nasconde un piano più complesso. Chiaramente la definizione di Disney come fumettista è discutibile essendo il “padre” di Mickey Mouse principalmente un imprenditore o al massimo un animatore, ma nell’interpretazione di Trillo e Zaffino ha anche creato graficamente Topolino, cosa su cui non tutti gli storici sono concordi attribuendone anche la paternità grafica a Ub Iwerks.
Hoover avrebbe dovuto essere una serie ma se ne è visto solo un altro episodio più breve su Skorpio.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

UNSTABLE MOLECULES (MOLECOLE INSTABILI)
(Stati Uniti 2003, © Marvel Characters, Inc., drammatico)
James Sturm (T), James Sturm e Guy Davis (D)

Interessante opera di fantasia che mostra i “veri” Fantastici Quattro a cui si sarebbero ispirati Stan Lee e Jack Kirby nel delineare i loro supereroi, con tanto di finti redazionali (che citano una bibliografia creata ad hoc) per supportare la tesi della loro esistenza: calati nell’ultimo scorcio degli anni ’50, in un’America ancora bigotta e maschilista, Reed è uno scienziato costretto dai militari ad abbandonare le sue ricerche in favore del progetto spaziale, Sue è una casalinga sottomessa prossima al matrimonio vittima delle pressioni dei pregiudizi dell’epoca, suo fratello Johnny è un liceale disadattato che divora i fumetti di Vapor Girl (pseudofumetto realizzato da R. Sikoryak) e Ben Grimm è un rozzo omaccione che gestisce una palestra di pugilato.
In questo universo il personaggio di Patsy Walker è reale ed è apparentemente una modella o un’attrice come nel Marvel Universe classico.
Il titolo, ovvio omaggio alle molecole inventate da Stan Lee (o chi per lui) per giustificare il fatto che i costumi dei supereroi non bruciano o cambiano forma assieme a loro, fa riferimento allo stato di precarietà dei protagonisti ma anche all’oggetto di studio del “vero” Reed Richards.
Pseudofumetti: Vapor Girl attribuito a Stan Lee e all’inesistente Rupert “Roy” Coles, che fa da controcanto a molte sequenze della miniserie. Kay, una delle giovani partecipanti al Club del Libro di Sue, malaccette dalle partecipanti storiche perché giovani e in alcuni casi ebree, è sposata proprio con Rupert Coles.
Vapor Girl apparve su Journey into Unknown Worlds e poi ottenne la sua testate che durò solo sei numeri (probabilmente in riferimento alle traversie della prima testata di Hulk). Tra le testate a cui collaborò Coles vengono citate Funny Bunny Comics and Stories, Gabby Lion, Intriguing Indian Tales, Janet Planet e Hard Rain Comics and Stories per cui produsse la sua ultima storia breve: A Prayer for Major Man.
Viene citato anche Tales to Astound, testata che Johnny Sturm e il suo amico Richard conoscono a memoria da bravi nerd come tutti gli altri fumetti.
Inoltre, una banda di fumettisti reali (Stan Lee, Jack Kirby, un certo Art e un certo Harvey – Kurtzman?) si ritrova alla festa di Richards.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
PARODIE (pag. 67)

ANNIHILATOR (IDEM)
(Stati Uniti 2014, © Legendary Comics, LCC & Grant Morrison, fantascienza)
Grant Morrison (T), Frazer Irving (D)

Lo sceneggiatore cinematografico Ray Spass entra in contatto con il protagonista del suo ultimo copione, Max Nomax, un antieroe esiliato di un altro universo che vorrebbe sconfiggere la morte per riportare in vita la sua amata.
Nel “mondo reale” Nomax è un personaggio libero da copyright che ha avuto molte incarnazioni riproponendo lo stesso canovaccio di base. Tra di esse c’è un «fumetto italiano psichedelico di fine anni 60».

sabato 26 marzo 2016

Historica 41 - I Passeggeri del Vento 3: Lungo il Mississippi

Alla fine l’ho recuperato altrove e non c’è voluto poi molto per trovarlo. Se posto questa recensione con tanto ritardo è perché leggere il volume conclusivo de I Passeggeri del Vento non è stata una passeggiata. Stavo per scrivere che è stato quasi uno stillicidio, ma oltre ad essere un’esagerazione sarebbe ingiusto nei confronti dell’autore.
Bourgeon si è veramente dato anima e corpo a questo ciclo conclusivo, e si nota non solo dalla lunghezza abnorme per due volumi francesi (che poi la numerazione delle tavole sia una sola non è cosa rivoluzionaria: lo fece anche Gillon con I Naufraghi del Tempo pubblicati da Nuova Frontiera), ma anche dallo scrupolosissimo lavoro di documentazione e dalla cura maniacale nel cesellare ogni particolare, siano i canneti che si vedono ai margini di una palude o le staccionate dettagliatissime di un edificio. La sua ricerca si applica anche alla lingua parlata dai personaggi, che in realtà sono molteplici lingue e dialetti. Così il lettore prima legge i balloon e poi deve correre in fondo al volume per scoprire cosa si sono detti i personaggi, quando un’integrazione del testo direttamente nelle tavole sarebbe stata più comoda. Anche perché il fumetto di per sé è già faticoso da leggere…
Espropriata della sua proprietà terriera in Louisiana, la giovane Isabella detta Zabo risale il Mississippi insieme a un pittoresco accompagnatore per congiungersi con la bisnonna, nientemeno che una Isa (la protagonista degli altri cinque episodi) centenaria. Dopo un inizio abbastanza promettente la storia sarà occupata per due terzi dai ricordi di Isa, dando inizialmente l’impressione che Bourgeon avesse perso la bussola della storia che voleva raccontare (e che invece era solo la lunga introduzione alla “vera” storia, quella di Isa), e inanellando tranche de vie dopo tranche de vie e citazioni storiche una dietro l’altra, con qualche bel dialogo ma senza la minima traccia di quel mordente che dovrebbe tenere il lettore incollato alle pagine. In alcune occasioni, poche per fortuna, le vignette altro non sono che enormi balloon pieni di testo!
A seguito degli eventi precedenti della saga Isa ha partorito una figlia meticcia e ha trovato rifugio presso un possidente terriero, Louis. La vita procede placida e Isa si dedica a educare in segreto la piccola fingendo che sia figlia del fratello morto e producendo illustrazioni degli animali locali mentre attende il ritorno del suo amato Jean, figlio di Louis. Finché la storia prenderà una brutta piega e Charles-Antoine, nipote scroccone di Louis, farà precipitare la situazione verso una direzione drammatica. Le quattro tavole dalla 126 alla 129 in cui ha luogo la tragedia sono tra le poche che risaltano in un contesto altrimenti desolatamente piatto.
Quella raccontata in Lungo il Mississippi è una storia descrittiva e lenta che procede per accumulo senza andare apparentemente verso nessuna direzione chiara. La parte più suggestiva di tutto il racconto, quella che gli dà il titolo originale La Petite Fille Bois-Caïman, sembrerebbe aprire a chissà quali prospettive e invece viene praticamente ignorata.
Per capirci, è un po’ come un film di Malick: di una flemma esasperante ma confezionato in maniera talmente ricercata e curata esteticamente da non essere criticabile senza il rischio di passare per insensibili o ignoranti. Ha perfettamente ragione Sergio Brancato nell’introduzione a suggerire che il piacere di questo volume risieda nel rivedere un personaggio conosciuto anni fa e scoprire “che fine ha fatto” da quando l’avevamo lasciata. Anche il personaggio di Zabo è molto affascinante, costruita sullo stesso stampo provocatorio e disinibito della bisnonna (bellissimo vederle punzecchiarsi in merito alla schiavitù, visto che Isa non può tollerarla mentre la bisnipote difende il punto di vista del suo background culturale), ma se si limita a parlare per quasi tutto il volume alla fine il suo carisma ne risente.
Per quel che riguarda l’aspetto grafico, Bourgeon è rimasto fedelmente ancorato al suo stile che risulta praticamente immutato in oltre trent’anni: i panorami, i decors, gli sfondi, le rappresentazioni degli animali sono di una bellezza e di una ricercatezza uniche, così come i colori che sono parte integrante ed evocativa delle tavole (secondo me se dagli anni ’80 in Francia i coloristi sono effettivamente diventati tali rendendosi conto della loro importanza è proprio per merito dell’esempio di Bourgeon). Ma i personaggi sono terribilmente rigidi e sembrano fatti di legno: il che forse è proprio vero, vista l’abitudine di Bourgeon di scolpire delle statue lignee che poi utilizza come modelli per disegnare. Quando poi si aggiungono delle linee cinematiche alle figure come nella terza vignetta di pagina 41 il risultato risulta ancora più ingessato e artefatto. Credo che il problema risieda nell’inchiostrazione particolarmente pesante e poco modulata di Bourgeon, ma anche il suo occasionale pointillisme contribuisce a sclerotizzare le sue figure. Ed è un peccato, perché da certe posture e da certe espressioni si capisce chiaramente che Bourgeon ha fatto posare qualche amico per ottenere le giuste inquadrature.
Come per i film di Malick, “dovevo” leggere questo fumetto e alla fine ce l’ho fatta a concludere la lettura. Per questa versione italiana della Mondadori rimangono un paio di rimpianti in più: la stampa non è proprio ottima (si veda come i ghirigori della lettera a pagina 119 risultino “bruciati” e più in generale come i balloon siano seghettati) e il lettering cerca di simulare quello originale, che l’infaticabile Bourgeon realizza in prima persona, ricorrendo a un corsivo che finisce per risultare ancora più artefatto.

venerdì 25 marzo 2016

Ut 1: Le Vie della Fame

Ho ordinato anche la versione deluxe in fumetteria ma non ho resistito e l’ho preso già in edicola; e poi sinceramente la copertina di Roi mi sembra più bella di quella di Mari. Ut è una storia affascinante e originale, ambientata in un mondo pittoresco e suggestivo in cui convivono panorami marittimi, architettura mitteleuropea, rimandi a culture orientali (la «mastaba»), scorci da film espressionisti e interni ispirati, tra le altre, alla Pop e alla Op Art.
In un apocalittico futuro che non ricorda nessun’altra ambientazione post-atomica (vedi l’elenco dei riferimenti di cui sopra) il saggio Decio, probabile omaggio a Decio Canzio, ha incaricato il suo servo mascherato Ut di controllare che nessuno vada a curiosare nella loro base, la mastaba. Ut è veramente un personaggio interessante, ben lontano dagli stereotipi degli eroi seriali: un omaccione non troppo intelligente che però a volte si abbandona a fulminanti aforismi. Questa ambivalenza si applica anche alla sua sensibilità: assolutamente spietato con gli altri umani indipendentemente dal sesso e dall’età, nutre un affetto smodato per un gatto trovato per caso che lo porterà anche a trasgredire gli ordini di Decio.
Gli equilibri del mondo di Decio e Ut vengono modificati quando nella mastaba si risveglia Iranon, un efebico ma gigantesco e fortissimo umano del mondo di prima («fossile», lo chiama con disprezzo Ut) che Decio farà accompagnare alle Vie della Fame per fargli recuperare i frammenti del Diario di Hog con cui riuscire a interpretare i suoi sogni. Un incipit bello strambo, vero? E siamo appena all’inizio. Le Vie della Fame della città (o quartiere) di Chatis sono percorse da un’umanità desolata e cannibale, retrofuturisticamente dickensiana, che ha sviluppato un olfatto sovrumano per trovare vittime da divorare e controllata nell’ombra da società segrete.
Siamo insomma in un mondo surreale, onirico e metafisico, nato dalla fantasia di un giovane Corrado Roi che ne racconta la genesi nell’introduzione. Paola Barbato ne ha assecondato lo spirito imbastendo una sceneggiatura che procede anch’essa per accumulo di simboli e sequenze che sembrano seguire una propria logica interna disgiunta da una concatenazione lineare, seguendo un po’ gli impulsi repentini del protagonista. Ma al contempo la struttura e la dinamica dei poteri nelle Vie della Fame non sono affatto semplici e a causa dell’intervento di Ut e Iranon si ingarbugliano in maniera tale da richiedere al lettore un certo sforzo per dipanare la matassa fatta di inganni e di false piste, oltre che di personaggi ambivalenti. Io, poi, confesso di non aver affatto capito in cosa si differenzierebbero gli esseri umani corrotti di adesso rispetto a quelli del passato (da cui il “Circolo degli Uomini” si vanta di discendere), ma immagino che sarà rivelato nei prossimi numeri. A integrare questa lettura decisamente non banale e stimolante ci sono dei dialoghi frizzanti e anch’essi per niente stereotipati. Mi chiedo cosa ne penserà un lettore tipico Bonelli come Alessandro Olivo, se mai lo leggerà.
Al di là dell’aspetto narrativo, che mi ha catturato e che lascia prevedere faville per il futuro, quello che più colpisce di Ut è la sua splendida resa grafica. Corrado Roi si è veramente superato e ha confezionato delle tavole stupende in cui il suo tratto e le sue fantasie (i periscopi nelle case… le parole crociate sui muri…) sono stati integrati da effetti bellissimi e da inquadrature ricercate, oltre che da alcuni preziosismi come la voce ripetuta “questo è il Diario di Hog” a incorniciare le tavole in cui ne vengono letti alcuni brani. Da quel che conosco io della Bonelli credo che Ut si distacchi molto dalla produzione consueta, come testimonia anche il prezzo di “ben” 4 euro per le solite 96 pagine, ma a ben guardare lo strapopolare 16x21 potrebbe paradossalmente diventare un buon viatico per la penetrazione nel settore dei graphic novel, visto che tutto sommato non è troppo distante dal 17x24 solitamente associato a quella fascia di prodotti. E da quel che si è potuto vedere in questo primo numero il sognante e raffinato Ut ha senz’altro i numeri per essere considerato tale, indipendentemente dalla casa editrice che lo ha prodotto.
La copertina è ruvida in rilievo (da fumatore di pipa la stavo per definire “rusticata”), un effetto non spiacevole ma che secondo me toglie un po’ di nitidezza alla bella illustrazione di Roi contaminandola con le venature del cartoncino.
Tanto per mostrare che l’arte di Roi non mi ha obnubilato le capacità di giudizio segnalo due errori che (incredibile!) ho trovato in questo albo Bonelli: a pagina 18 Decio dice che un personaggio «non si accorto di niente» senza “è” mentre a pagina 25 Ut apostrofa Iranon così: «Non riconosci la notte dal giorno». Non era più indicato il verbo “distinguere”?

giovedì 24 marzo 2016

Strani corto circuiti

Questo è l’ultimo libro del mio adorato Gianrico Carofiglio:
30 Racconti di 3 pagine l’uno.
Sperando di non risultare blasfemo, mi ha ricordato questo:
 L’album dei Residents di 40 canzoni da un minuto l’una.

En passant, questa raccolta di racconti è molto ben scritta (ma quale libro di Carofiglio non lo è?) anche se purtroppo si inserisce nei suoi prodotti-cuscinetto come La Manomissione delle Parole a cui preferisco qualcosa di più corposo e articolato. Nel primo racconto, Quarto Potere, ho ravvisato somiglianze con Il Maestro di Bastone e il quarto interrogatorio riportato in Avvocati è preso di peso da L’Arte del Dubbio, ma va benissimo così. Mi è sembrato che la disillusione (per non dire astio) verso la Giustizia italiana si sia un po’ affievolita, e ogni tanto Carofiglio ci dà un suo inedito e per me inaspettato ritratto mondano; non di rado si ride, anche se il più delle volte a denti stretti.

mercoledì 23 marzo 2016

Jaybird

Non avendo potuto mettere le mani sul numero (o i numeri) di SuperG che lo hanno ospitato, ho dovuto ripiegare sulla lussuosa e un tantinello costosa edizione della Elara. Ma d’altra parte tutti i plausi e le celebrazioni che ha ottenuto questo Jaybird sembravano giustificare i 25 euro di un volume che comunque di suo è veramente lussuoso, trattandosi di un cartonato di grandi dimensioni di 128 pagine patinate a colori.
La storia imbastita dai fratelli finlandesi Lauri e Jaakko Ahonen ritrae una giovane ghiandaia azzurra americana (questo apprendo essere il corrispettivo italiano del termine «Jaybird», e io che pensavo a un gioco di parole con jail/prigione) che passa le sue giornate a badare metodicamente alla casa enorme in cui abita e a soddisfare tutte le necessità della madre inferma immobilizzata a letto. Il piccolo Jaybird vive da recluso, terrorizzato dai racconti del “mondo di fuori” che gli continua a fare la madre. Occasionali angosce a parte, la sua vita non è proprio brutta e al compiacimento nell’ammirare i ritratti dei suoi antenati si aggiunge anche l’amicizia con un altro abitante della casa, su cui è meglio non soffermarsi visto che la rivelazione del rapporto tra i due costituisce uno dei pochi scossoni in una trama altrimenti sin troppo lineare. L’altro scossone è dato dall’arrivo di un personaggio dall’esterno e dalla conseguente rivelazione di un segreto ben nascosto nel passato del protagonista.
Graficamente Jaybird è un’eccezionale prova di storytelling, con un uso perfetto della scansione e dell’alternanza delle vignette per creare il movimento e sviluppare le situazioni, oltre a una scelta oculatissima delle inquadrature. Gli Ahonen hanno anche approfittato della forma e dell’allestimento del volume per inventarsi delle soluzioni simpatiche ed efficaci (bellissimo il trucco adottato per il risguardo, che ci proietta nella storia senza che ce ne rendiamo conto). Per quanto lo stile di disegno possa risultare piacevole, io lo avrei trovato comunque molto più piacevole senza la mediazione del computer a creare masse, sfumature, texture ed effetti vari.
In ultima analisi Jaybird può essere interpretato in vari modi: come una parabola sull’invasività dei genitori nella vita dei figli, come una declinazione della depressione a fumetti, come una storia di innocenza perduta o semplicemente come un giallo macabro e dark («new weird» viene definito in quarta di copertina). E tutto sommato necessita che il lettore gli dia un’interpretazione che aggiunga qualcosa a quanto ha letto visto che il materiale di per sé, per quanto buono, non è molto e non bastano quei due o tre colpi di scena su 128 pagine per appagarlo del tutto.
Forse 25 euro non li meritava del tutto quello che alla fin fine è un enorme esercizio di stile, ma Jaybird è una di quelle di opere che “bisogna” leggere (capirai, tra gli altri premi ha pure vinto il Gran Guinigi). Bene, l’ho letto; e ne valeva la pena.

martedì 22 marzo 2016

Rivedere Parigi 1

Ennesimo splendido volume disegnato da quel mostro di bravura e cura calligrafica che è François Schuiten, ancora una volta con i testi del suo sodale Benoît Peeters – pur se Rivedere Parigi non mi pare faccia parte del ciclo delle Città Oscure.
L’anno è il 2155 e Karinh viene caldamente invitata a offrirsi volontaria per una missione esplorativa sulla vecchia e imbarbarita Terra dopo aver manifestato il suo dissenso a procreare almeno due figli come vorrebbe la legge dell’Arche (non viene specificato ma immagino si tratti di un satellite artificiale in cui si è rifugiata l’umanità). Karinh è oltretutto una mezzosangue, essendo stata concepita da una madre dell’Arche e un padre terrestre.
Unico componente vigile della nave spaziale Tube, deve badare alla sua manutenzione e alla sicurezza degli altri viaggiatori ibernati, tutti ultranovantenni. Ma non è che si ammazzi proprio di lavoro e alla routine della ginnastica o della cura del giardino preferisce immergersi in fantasie olografiche che le permettono di connettersi tramite una sorta di corpo astrale con ambienti e persone della Parigi del passato, entrando addirittura nelle novelle proto-fantascientifiche di Albert Robida.
In questa sorta di allucinato Solaris spaziale seguiamo il flusso dei pensieri e leggiamo il diario di Karinh, finché a metà volume un “ibernato” viene incaricato di prendere in mano la situazione sfuggita al suo controllo. Da qui in poi la trama prende una piega molto diversa dalla storia intimista che era stata fino a quel momento, c’è qualche colpo di scena e dei momenti di tensione e finalmente l’equipaggio atterra sulla Terra, una sorta di declinazione terzomondista di Blade Runner. Un vigliacco cliffhanger finale lascia con l’acquolina in bocca di sapere cosa succederà nel secondo e conclusivo volume.
I disegni di Schuiten sono dettagliati e maestosi come non mai, inoltre le sue figure umane sono sospese tra una grande naturalezza e la sua cifra stilistica personalissima che mai lascerebbe intuire che sono basate su fotografie (benché dai ringraziamenti risulti che alcune persone hanno effettivamente posato per lui). Il suo gusto retrofuturista (l’«ascensore spaziale»!) può apparire ingenuo o troppo distante da quella che viene comunemente intesa come fantascienza, ma si fa presto ad assimilarlo e la sua eleganza è spettacolare.
Per quel che riguarda lo stupefacente aspetto grafico, inizialmente ho temuto che Alessandro Editore avesse perso colpi pure lui e non fosse riuscito a rendere giustizia in fase di stampa alle splendide tavole di Schuiten: in realtà il tratto poco inciso è dovuto alla scelta del disegnatore di usare solo la matita senza ripassarla a china.
Questo Cartier da libreria (laddove la libreria temo sia obbligatoriamente quella di Alessandro a Bologna, altrimenti l’acquisto online) è composto da 64 pagine a colori su pregiata patinata opaca e costa 19,99 euro. In copertina c’è un simpatico effetto di rilievo, o meglio di incisione, con il titolo del volume. Noblesse oblige.

lunedì 21 marzo 2016

Trees volume 1A: In Ombra

Originale e spiazzante come sempre, Warren Ellis è partito per questa serie targata Image dall’idea che gli alieni abbiano raggiunto la Terra ma che questi alieni siano semplicemente colossali strutture cilindriche simili ad alberi con cui è impossibile qualsivoglia interazione. Nel corso dei dieci anni in cui hanno colonizzato il nostro pianeta hanno giusto riversato qualche secrezione letale nel luogo in cui si trovavano, mentre la loro presenza prolungata in alcuni siti ha determinato delle variazioni nell’ecologia locale. Tutto qui.
Trees segue le vite di vari personaggi che in una maniera o nell’altra sono coinvolti a livelli diversi dagli “alberi”. In Antartide (o dove diavolo si trova Spitzbergen) un ricercatore scopre dei misteriosi papaveri che potrebbero essere prodotti dagli alieni; nella Regione Culturale Speciale di Shu in Cina un giovane artista provinciale scopre la frenetica vita sociale del posto mentre lavora ispirato dall’albero del luogo; in Somalia il “presidente mendicante” Caleb Rahim sembra deciso a intraprendere una campagna militare a partire dall’albero presente in loco, il più basso tra quelli conosciuti, colpevole di aver favorito con la sua presenza il confinante stato pirata del Puntland; a Cefalù un vecchio professore comincia ad addestrare una giovane ragazza esasperata dal suo fidanzato mezzo mafioso e mezzo militante di un gruppo neo-fascista; a New York il candidato democratico alla poltrona di sindaco decide che per farsi eleggere deve imbastire una campagna elettorale che contempli anche l’albero che sovrasta la Grande Mela.
L’antipasto è bello gustoso e fa venire voglia di leggere subito il seguito, quindi fa decisamente incazzare il fatto che la saldaPress abbia diviso in due parti il primo volume originale della serie (da ciò 1 “A”). Questa paraculata era già stata fatta da Panini coi volumi di Kick-Ass e The Boys, e almeno la saldaPress non la nasconde (e il suo volume costa di meno di quegli altri), però in questo caso fermarsi al quarto capitolo è proprio un brusco coito interrotto. Credo che rimarrò a bordo perché Ellis ha saputo imbastire un bel mistero avvincente e originale, anche se l’idea di spendere 25 euro contro i 18 o giù di lì che sarebbe costato un volume con tutti i capitoli previsti non mi entusiasma. E con buona pace dei disegni di Jason Howard, artista sketchy con troppe derive caricaturali che proprio non mi piace.

domenica 20 marzo 2016

Il Morto 3: Il convento dei frati silenziosi

Continua il programma di ridistribuzione in edicola dei primi numeri de Il Morto, originariamente riservati al circuito delle fiere. Arrivati al numero 3 si avverte una netta impennata nel comparto grafico grazie al lavoro di Luciano Bernasconi. Anche i testi sono molto validi.
Alla ricerca dell’identità di Zaxan, Peg/il Morto finisce nientemeno che in un convento nella ridente località di Malcantone, dove vengono tenuti dei vecchi registri cartacei delle nascite su cui probabilmente potrà trovare le informazioni su tal Zanerbi Xavier Antonio che i registri dell’anagrafe non possiedono.
Il convento, però, è ormai sotto il controllo di una banda di criminali che lo usa come copertura per la produzione e lo spaccio di marijuana! Grazie al suo addestramento letale ma anche con l’aiuto di un vero monaco più coriaceo degli altri, Il Morto sgominerà la banda ma rimarrà quasi a bocca asciutta per quel che riguarda i dati riguardanti il presunto Zaxan, anche se qualcosina riuscirà a scoprirla.
A corredo della storyline principale ci sono le due riuscitissime divagazioni sul soccorso che Peg fornisce a un barbone e la sequenza parallela della ricerca del Morto da parte dei poliziotti Berri e Gambisi. Dei dialoghi azzeccati e un ottimo cast di comprimari contribuiscono a rendere questo terzo numero di gran lunga il migliore fra quelli usciti a suo tempo.
In appendice, la prima parte di una deliziosa storiella di Gary & Spike di Fulber e una storiellina minore (ma non disprezzabile) di H. W. Grungle a opera di Ruvo Giovacca e Rino Aiello.

sabato 19 marzo 2016

?!

Ma la ristampa di Hellblazer nella collana Vertigo Monthly vende così bene da giustificare il fatto che sia data la precedenza al recupero dei ritardi su questa serie invece che a finire 100 Bullets, di cui avevo calcolato la fine per il gennaio 2016? Mah, rimango in attesa.

venerdì 18 marzo 2016

Il Toppi. Uno straordinario uomo normale

Come intuibile dal sottotitolo, questa biografia di Sergio Toppi non verte principalmente sulla sua attività artistica ma si concentra sulla sua figura umana, tramite testimonianze di prima mano della moglie Aldina Monesi e della ristretta cerchia di amici che frequentò in sostanza per tutta la vita.
Con questa impostazione Omero Pesenti correva il rischio di scadere nell’agiografia o nella raccolta di pettegolezzi ma è riuscito a evitare entrambi gli estremi producendo un libro scrupoloso e meticoloso da cui ha saputo osservare la vita del Toppi con la corretta distanza e discrezione (indugiando solo in qualche episodio privato degno di nota come il rapporto con gli amati animali domestici), anche quando ne ha raccontato i molteplici problemi di salute.
Lo stile di Pesenti è accattivante e coinvolgente non solo per l’argomento trattato ma anche per il piacevole ritmo incalzante dato dalla sintassi rapida e i periodi brevi, con dei garbati ma efficacissimi spunti ironici («Lui e l’Aldina sopportano con malcelata noia e impazienza le proiezioni di diapositive in casa di qualcuno […]. Per loro è l’equivalente di un’esecuzione capitale. Chissà cosa penserebbe il Toppi se gli dicessero di usare Facebook.»). Mi ha lasciato un po’ perplesso che sia stato lo stesso autore a inserire delle note dell’Autore nella parte principale che ha scritto lui in persona, dando così l’impressione che quello letto fosse un lavoro in divenire o una penultima stesura prima della versione definitiva.
La rigorosa e partecipata cronaca della vita del Toppi (en passant, anche un mio amico mollò Medicina a causa dell’insormontabile esame di Chimica) permette all’autore di ricostruire con grande efficacia la contemporanea storia d’Italia, soprattutto gli anni ’40 e ’60. Il tutto senza assecondare facili moralismi avanzando ad esempio l’ipotesi che i contatti della madre, impiegata presso una casa editrice, possano essere stati funzionali nel trovare i primi impieghi di Sergio Toppi, tra cui la celebre collaborazione con lo Studio Pagot.
Il Toppi si conclude con delle interviste-appendici a quattro persone che furono intimamente legate al fumettista e la naturalezza con cui si sono messe a nudo (parlando anche di un altro grave lutto oltre a quello del disegnatore) rivela evidentemente la grande levatura umana di Sergio Toppi. Oltretutto è notevole la cura di Pesenti anche in questa parte del volume, per cui gli aneddoti riportati nel nucleo principale del testo vengono citati nelle interviste senza dilungarsi in dettagli già sviscerati. Oltre che un bravo affabulatore Pesenti è evidentemente anche un editor molto meticoloso.
Un libro consigliato non solo agli amanti di Toppi, insomma. Edito da Eremon Edizioni, costa 14,90 euro e contiene delle illustrazioni inedite fuori testo a colori.

mercoledì 16 marzo 2016

Magnus prima di Magnus. Gli anni dell'apprendistato di un maestro del fumetto

Edito da Alessandro Editore in occasione della mostra “Magnus e l’altrove” con la collaborazione e il patrocinio di Fondazione del Monte e Gruppo Hera, il volume è un ricchissimo excursus sulla produzione del giovane Roberto Raviola, quando ancora non aveva adottato lo pseudonimo Magnus, di cui qui viene spiegata l’origine goliardica.
Nelle sue 164 pagine di grande formato il tomo offre una ricchissima panoramica sui lavori giovanili del futuro disegnatore di Kriminal. Due cose lasciano stupefatti: la produzione ipertrofica del giovane Raviola (e chissà quanto altro materiale sarà andato perso o distrutto) e la grandissima qualità della stessa, pur così vasta e pur considerando la giovane età dell’autore. E per “qualità” intendo anche la grande versatilità con cui Raviola sapeva passare con immutata efficacia dal realistico al comico e da una tecnica all’altra. Verrebbe da dire che i suoi lavori giovanili sono addirittura migliori di quelli realizzati una volta diventato fumettista di professione, almeno delle prime prove, ma è chiaro che con l’entusiasmo della giovinezza e senza la pressione delle scadenze il risultato finale non può che giovarne. Ad avere le doti di Raviola, ovviamente.
Nonostante la parte iconografica sia giustamente preponderante, con dei recuperi eccellenti come tutte le copertine e le illustrazioni per le collane della Malipiero, il libro è arricchito da interventi a opera di Antonio Faeti (una disamina sul ruolo che il secondo dopoguerra ha avuto nell’immaginario magnusiano), Luca Baldazzi e Fabio Gadducci (una lunga ed esaustiva biografia del periodo pre-fumetti), Michele Masini (un breve saggio sulla carriera di illustratore di libri per ragazzi) e ancora Baldazzi e Gadducci (una panoramica complessiva della produzione fumettistica di Magnus).
Magnus prima di Magnus presenta delle ghiotte curiosità, come alcune rare vignette in cui Raviola si confronta con Jacovitti, la corrispondenza con Il Vittorioso a cui il giovanissimo Roberto inviava i suoi lavori (spesso pubblicati) e addirittura il certificato di maturità artistica, da cui si evince che il futuro maestro aveva solo 6 in Composizione e Figura (meno di quanto avevo io in Discipline Pittoriche all’Istituto d’Arte)!
Le vere e proprie chicche come le lettere illustrate inviate a un amico con cui ci fu una questione di donne (così mi pare di capire) e addirittura i fumetti autoprodotti delle elementari (!) giustificano abbondantemente gli sforzi da fare per aprire il volume senza rovinarne la costoletta, visto che il tomo non è cartonato e per quanto la sua carta Fedrigoni Arcoprint sia raffinata non è una patinata di maggiore maneggiabilità.
Mi verrebbe quasi da dire che le splendide immagini della parodia di Canto di Natale di Dickens valgono da sole l’acquisto.

lunedì 14 marzo 2016

Cosmo Color Extra 17 - Il Crepuscolo degli Dèi 8: Il Grande Inverno

Continua la saga dell’Anello dei Nibelunghi anche dopo quella che ritenevo la sua irrevocabile conclusione naturale. Evidentemente la serie in Francia deve aver riscosso un buon successo se sono arrivati a inventarsi delle nuove situazioni per farla continuare (o forse Jarry per scrivere questo seguito si è basato su fonti apocrife post-Wagneriane che non conosco). In effetti, ne valeva la pena.
L’Impero Romano d’Occidente non esiste praticamente più e Bisanzio è l’ultimo baluardo contro il caos che si sta abbattendo su tutta l’Europa e che si manifesta con un inverno innaturale e i mostri che porta con sé, i Winterdrags. Il Grande Inverno si concentra su tre storyline principali, che immagino finiranno per incrociarsi: presso una eccessivamente tolkieniana Corte degli Elfi i fratellini Lif e Lifthrasir, discendenti di Sigfrido e Crimilde, stanno completando la loro formazione per padroneggiare il potere di fermare il Fimbulvetr (cioè il Grande Inverno) con il divieto tassativo di toccarsi l’un l’altra per non sprigionare le potenti forze che risiedono in loro.
Nel mondo terreno, il «Mannheim», il centurione Foca si trova coinvolto in una caccia a dei misteriosi assalitori che si rivelano mostri, ma deve anche far fronte alla cupidigia dell’imperatore Maurizio; e sarebbe sicuramente meglio se non si prendesse troppe libertà con le mogli degli uomini (potenti) sbagliati.
Frattanto in Norvegia la maga guaritrice Yngvild e il suo burbero compagno Bjarnulf custodiscono una durlindana dai poteri divini che desta l’interesse di un potentissimo stregone non-morto capace di controllare magicamente l’intera popolazione di un villaggio. Gli Dèi osservano ma il decaduto Wotan dichiara di voler tornare nella mischia per quel poco che potrà: tecnicamente già morto nel Ragnarok, si indebolirà ancora di più per ogni intervento nelle sorti umane.
Di carne sul fuoco ce n’è tanta e nonostante la necessità di dar seguito a ciascuna delle trame in cui è divisa questa puntata la narrazione risulta ben calibrata e pienamente soddisfacente per il lettore. È chiaramente solo l’antipasto di una saga che immagino sarà anch’essa bella lunga come la prima, ma non ho avuto l’impressione che lasciano altri numeri 1 franco-belgi per cui si resta a bocca asciutta in attesa della vera azione.
È stato piacevole constatare l’evoluzione che ha finalmente avuto Djief, secondo me decisamente maturato rispetto a quanto visto in precedenza. È vero che gli elfi col naso da pugile non sono molto elfici, però le figure efebiche e a volte solo accennate sono state quasi del tutto abbandonate in favore di uno stile più corposo e dettagliato. I colori di Héban contribuiscono come al solito a rendere suggestive le tavole.
In quarta di copertina campeggia l’annuncio del prossimo numero della saga in uscita tra due mesi, ultima vestigia delle gloriose collane Cosmo Color. Godiamocela finché dura.

giovedì 10 marzo 2016

Druuna 0: Anima

Dopo un’attesa che mi è sembrata eterna (ma dalle gerenze risulta che il volume sia stato confezionato solo un mese fa) è finalmente uscito quello che a una Lucca mi era stato presentato genericamente come un prequel di Druuna allo stand dello Scarabeo. Anima è stato anticipato da vari portfolio che sono usciti da almeno un paio di anni e dalle immagini che erano trapelate sembrava qualcosa di nuovo e poco attinente con l’eroina-simbolo di Eleuteri Serpieri. In realtà Druuna c’entra eccome ma, proprio come suggerito dal succitato stand è meglio non anticipare nulla. Diciamo che c’è un simpatico colpo di scena finale e che se un giorno il file da cui attingo per i Fumettisti d’Invenzione dovesse essere a secco ci inserirò anche questo Anima.
Il volume vanta un’introduzione quadrilingue di Moreno Burattini (con un bel po’ di refusi, mannaggia) in cui viene rievocata l’esperienza di Moebius e Metal Hurlant. Anche se i mondi e gli stili dei due autori possono sembrare molto distanti, l’excursus storico di Burattini è perfetto per questa storia visto che Eleuteri Serpieri vi ha ripreso alcune suggestioni e probabilmente anche il metodo di Moebius. Forse non è un caso che si sia firmato “SER” in calce alle tavole come Giraud si firmava GIR.
In un mondo selvaggio vagamente preistorico la ben tornita Anima si leva in volo con il suo buffo pterodattilo biomeccanico simil-Arzak e affronta varie minacce che attentano alla sua vita e alla sua virtù (nel secondo caso, talvolta riuscendo nel compito). Il fumetto è totalmente privo di dialoghi e la narrazione è affidata agli splendidi disegni di Eleuteri Serpieri che qui raggiunge un’espressività ancora più efficace del solito. Una delizia per gli occhi, poco importa che il formato adottato prediliga poche vignette di grandi dimensioni per tavola, rendendo quindi la lettura assai veloce.
Oltre al probabile omaggio ad Arzach, secondo me Eleuteri Serpieri è andato a braccio nel realizzare questo fumetto un po’ come fece Moebius nel Garage Ermetico, visto che apparentemente non c’è una direzione verso cui punta la trama e che alcune immagini sembrano tratte da altri lavori dell’autore realizzati in momenti e contesti diversi. Non c’è però solo un accumulo di situazioni tipiche dell’immaginario serpieriano in Anima ma anche delle trovate originali e un bel finale che lascia il lettore con un sorriso.
Oltre all’incredibile efficacia con cui Eleuteri Serpieri ha disegnato anche gli animali (non è così scontato che un mostro di bravura nel disegno anatomico sia altrettanto bravo nel ritrarre animali), è stata una rivelazione vederlo alle prese con dei siparietti umoristici incredibilmente efficaci e veramente esilaranti – anche se uno ci ha privato delle derive zoofile che avrebbe potuto generare la scena in cui è inserito, peccato.
Il progetto è nato da un’idea di Piero Alligo, qui indicato come “Pietro” ma visti i refusi nell’introduzione di Burattini non mi stupirei se fosse lui. Un motivo in più per lodare questo eccellente disegnatore che tanto ha fatto e fa per il fumetto italiano.
Il volume è molto bello, cartonato e ben stampato su carta patinata. Consta di ben 80 pagine, di cui 65 di fumetto vero e proprio mentre le quattro versioni (in italiano, tedesco, inglese e spagnolo) dell’introduzione sono abbellite da studi e prove di Eleuteri Serpieri. Il prezzo non è riportato, comunque Anima più le quattro uscite Secret Wars del mese (Hail Hydra, A-Force, Civil War e Thors) me le hanno fatte pagare 29 euro in fumetteria, fate voi i conti.

PS: solo io ricordo l’annuncio di un Druuna 9? In effetti su internet non si trova nulla al riguardo.

domenica 6 marzo 2016

The Royals - I Signori della Guerra

A tappe forzate la RW Lion ha recuperato il ritardo che aveva accumulato sulla collana Vertigo Presenta e The Royals si è concluso in tempi record. Avrei preferito che avessero recuperato 100 Bullets ma vabbeh, aspetterò.
Le buone impressioni iniziali hanno trovato conferma. La storia non si è sviluppata come una banale serie di supereroi ma ha trovato una sua dimensione specifica: un po’ bellica, un po’ splatter, un po’ iconoclasta anche se radicalmente drammatica. Alcuni concetti alla base del fumetto (la stessa idea che i superpoteri derivino dal sangue blu) sono senz’altro delle buone trovate ma all’ottima riuscita di The Royals hanno contribuito gli splendidi dialoghi di Rob Williams e la struttura della storia che procede da un colpo di scena all’altro. Non aggiungo altro per evitare spoiler: basti sapere che c’è un traditore nelle file dei “buoni” e che non sono infrequenti i cambiamenti di campo. Bellissimo il finale, sul quale è ancora una volta meglio non spendere ulteriori parole.
Ai disegni Simon Coleby ha fatto un buon lavoro anche se si sono notate delle discontinuità tra le immagini basate su riferimenti fotografici e quelle che invece non lo sono. Avercene, comunque, di disegnatori come lui. Mi chiedo se sia colpa sua o dello sceneggiatore la “papera” tra le pagine 14 e 15 in cui Henry prima viene portato in braccio, poi è a piedi e poi torna in braccio.
L’unico aspetto relativamente deludente di The Royals risiede non nella serie in sé ma nelle storie brevi che sono state messe in appendice ai fascicoli. A parte Fantasma a nolo presentata sul numero 2, la cui sceneggiatura a opera di Geoff Johns è un gioiello, le altre si sono rivelate troppo pretenziose o semplicemente inconsistenti, disegnate oltretutto quasi sempre in maniera dilettantistica (per quanto la storia in appendice al primo numero sia opera del veterano Gilbert Hernandez). Unica eccezione, So Blue disegnato da Alitha Martinez sul numero 6: un piacevole mix di Hernandez (di quello più bravo tra i fratelli) e di Amanda Conner.

venerdì 4 marzo 2016

Fumo di China: tre articoli in uno

Dall'ultimo Fumo di China, il numero 247/283:
Il sottotitolo non c'entra nulla col titolo (le didascalie delle immagini citano vari fumettisti e non solo Bonfatti) e il pezzo in sé riguarda tutt'altro ancora. Se non sbaglio è la riproposta di un articolo pubblicato sul numero precedente.

mercoledì 2 marzo 2016

Ancora quei benedetti pirati

Stesso volume, ma stavolta il secondo episodio raccolto. I pirati sembrano essersi impossessati del tesoro del mitico pirata Morgan ma a quanto pare non è proprio così visto che rinvengono un diario di bordo:
Da un'ispezione nella zona circostante si evince che l'epoca del pirata Morgan è collocabile circa 50 anni prima gli eventi descritti nella storia.
...e comunque l'impiccagione datata 1860 si è svolta "ben prima" del passaggio di Morgan che dai dettagli di cui sopra risulta avere operato appunto circa 50 anni prima.
Le storie di Barbarossa sono quindi ambientate a metà del XX secolo (1860+50+altro tot di anni) o in fase di traduzione/lettering hanno scambiato 1680 con 1860?
Ciò detto, a 24,90 euro il bel volume edito da NonaArte merita abbondantemente l'acquisto e mi pare che la collana abbia pure riscontrato un certo successo visto che ne sono già usciti tre numeri e un quarto è stato annunciato.