domenica 29 marzo 2015

Sangue Reale 3: Lupi e Re



Totalmente inaspettato (io ricordavo che la saga si era conclusa col secondo volume) è arrivato il terzo episodio di Sangue Reale.
Re Alvar e re Honim, consigliati dai rispettivi alti sacerdoti, arrivano a un accordo e rinunciano finalmente a darsi battaglia per un’inutile rocca di cristallo: il figlio di Alvar si congiungerà con la figlia di Honim al compimento dei loro vent’anni e daranno ai due sovrani un erede che governerà su un unico reame pacificato frutto dell’unione dei due regni.
Più facile a dirsi che a farsi: Vaal, figlio di Alvar, è uno storpio deforme a cui interessano solo i suoi canarini mentre Mara, figlia di Honim, è un’impetuosa amazzone che si concederà solo all’uomo che riuscirà a batterla in duello – cioé con ogni probabilità nessuno dato che nel corso degli anni ha mandato all’altro mondo i migliori guerrieri del padre così, tanto per allenarsi.
Nel mentre il bambino-lupo Aram subisce una mutazione indotta dalla madre adottiva che lo trasforma in licantropo. Quando l’impossibilità di procreare di Vaal viene rivelata (fattosi monaco, ha sacrificato i testicoli al dio Kosmath per fare dispetto al padre) Aram, che apparentemente può vantare sangue reale, entra in gioco e sposa Mara.
Le cose sono comunque molto più complicate di come le ho riassunte visto che intorno ai personaggi principali ruota tutta una serie di comprimari che ordiscono intrighi, fanno e disfano complotti e tessono le loro trame ignari che il tradimento può colpire pure loro.
Gli ingredienti che uno si aspetta da Jodorowsky ci sono tutti: personaggi tagliati con l’accetta accanto ad altri pervasi di misticismo, deformità e turpitudini varie, esoterismo ed elementi fantastici non banali, un certo gusto sopra le righe che (voluto o no) finisce per strappare qualche sorriso.
Ai disegni Dongzi Liu esegue un lavoro apparentemente spettacolare (ha avuto il suo peso nel farmi decidere di comprare il volume) ma che, una volta osservato meglio e con la calma richiesta dalla lettura, rivela le sue eccessive somiglianze con tante altre immagini generate digitalmente, che lo rendono quasi anonimo. E alla fine i colori freddi, le texture artefatte, gli sfondi abbozzati (non tutti, ma alcuni lo sono), alcuni particolare innaturalmente diafani e il netto stacco che si percepisce tra le matite sottostanti e le elaborazioni successive finiscono per dare al tutto un gusto un po’ stucchevole. Non è esattamente il mio genere.
In definitiva questo Re Lear in salsa fantasy non sarà forse una lettura irrinunciabile ma mi è sembrato un prodotto più che buono. Tanto più che la Panini offre il volume extralarge di 56 pagine all’amichevole prezzo di 13 euro.

giovedì 26 marzo 2015

Cosmo Color 19 - Colorado 2: Chaparro



Secondo dei cinque volumi che di logica comporranno la serie Colorado. Stavolta sotto i riflettori c’è il messicano della compagnia, Chaparro, e la struttura di questo volume si conferma quella del primo, con una quindicina di tavole che portano avanti la trama portante e le rimanenti dedicate alle origini del personaggio eponimo.
A volere stare al gioco questo fumetto è abbastanza divertente e ha dei vaghi margini di originalità pur risultando un po’ forzato nei momenti in cui vorrebbe essere più leggero e pur riprendendo massicciamente gli stereotipi stravisti del genere (e ci mancherebbe altro: è un western). Il problema di Chaparro è la parte grafica. Delle velleità artistiche di Georges Ramaïoli che avevo riscontrato nel primo episodio non rimane traccia, anche se occasionalmente (ad esempio la tavola 6, ma è una goccia nel mare) si coglie un maggiore impegno. Inoltre i pesanti colori digitali di tal Faro rendono un po’ difficoltosa la lettura, il che potrebbe anche non essere un male in sé visto che così alcune magagne di Ramaïoli vengono dissimulate, ma alla fine anche la resa di stampa ne risente con questo tipo di colorazione per cui ormai le pellicole non sono più necessarie.
Considerando gli ulteriori abissi che Colorado dovrebbe toccare (vedi il link nel commento di Luigi) sono veramente indeciso se continuare. Si naviga a vista. Per me questo secondo volume si segnala principalmente per l’annuncio delle «storie perdute» di Comanche in quarta di copertina (cosa saranno? Le storie brevi?) e per questo, forse non simpaticissimo, inside joke:

martedì 24 marzo 2015

Zenith Fase Uno



Con una campagna pubblicitaria piuttosto decisa e un escamotage promozionale inedito e un tantinello ricattatorio ha cominciato a comparire la ristampa dell’opera seminale che diede visibilità a Grant Morrison e ne lanciò la carriera.
Proprio a causa dell’escamotage di cui sopra (l’abbonamento a tutti e quattro i volumi a scatola chiusa per usufruire di uno sconto del 15%), che mi ha fatto subodorare la fregatura, nutrivo qualche dubbio su questo “capolavoro perduto” dell’autore di Invisibles ma invece Zenith si è rivelato un felice acquisto.
Nell’Inghilterra del 1987 esiste un unico supereroe ancora dotato di poteri, almeno ufficialmente: l’edonista e menefreghista rock star Zenith, tutto preso dalla sua carriera e dai piacevoli annessi & connessi e totalmente disinteressato agli scontri contro i cattivi. Anche perché di supercriminali non c’è traccia così come gli stessi supereroi sono spariti dalla scena, privati dei loro poteri, nei primi anni ’70. Tutto questo fino appunto al fatidico 1987, anno in cui il redivivo, o meglio mai sopito, culto del Sole Nero evoca nuovamente un Grande Antico (sì, proprio uno di quelli di Lovecraft) a cui affittare il corpo preservato del gemello del precedente Masterman, superumano nazista che durante la Seconda Guerra Mondiale avrebbe potuto uccidere il supereroe britannico Maximan se in questa realtà alternativa gli Americani non avessero sganciato la bomba atomica su Berlino.
L’ingresso nello scacchiere di questo nuovo Masterman è l’avanguardia di una invasione dagli “esseri dai molti angoli” che già tentarono di conquistare le Terra: l’ex supereroina Ruby Fox se ne accorge nella maniera più violenta e, riacquistati inspiegabilmente i suoi poteri (tutti i supereroi di questo universo sono frutto di manipolazione genetica o hanno ereditato i poteri dai genitori come il protagonista), cerca di coinvolgere il riluttante Zenith in una crociata contro il pericolo imminente. Purtroppo come alleato possono contare solo su Red Dragon, supereroe gallese potenzialmente assai tosto che però l’alcolismo ha reso quasi del tutto inservibile. L’unico altro ex-supereroe di cui si ha traccia è Peter Saint John, che da hippy è diventato un rappresentante del governo conservatore!
Per coinvolgere il nichilista e un po’ codardo Zenith nella mischia Ruby Fox promette di rivelargli il segreto della morte dei sui suoi genitori, mentre nell’attesa dello scontro finale si comincia a intravedere un po’ dell’affresco complessivo e delle macchinazioni che riguardano questi supereroi, probabilmente materiale che sarà sviscerato nei prossimi volumi.
Zenith comparve in origine sulla rivista settimanale 2000 AD dove ogni episodio venne pubblicato nell’esiguo spazio di 5 o 6 pagine. La conseguente compressione della trama e le scadenze frenetiche fanno un gran bene allo sviluppo dell’intreccio e al ritmo della storia. Morrison doveva inventarsi ogni settimana qualcosa che facesse progredire la vicenda, ma doveva anche introdurre qualche elemento nuovo e gli episodi dovevano oltretutto essere anche godibili a sé stanti, pur con i legittimi cliffhanger. Si avverte chiaramente un minimo di rallentamento quando le prime vignette di un episodio devono ricapitolare quanto avvenuto in precedenza, ma nel complesso questa struttura a episodi/capitoli funziona benissimo anche nel formato della raccolta e la lettura procede spedita e appassionante fino alla fine.

Stilisticamente ammetto di essere stato colpito dalla maturità che Morrison dimostrava già quasi trent’anni or sono. Le battute non sono affatto stereotipate, e nella loro mancanza di scontatezza non si percepisce affatto il tentativo di sembrare cool a tutti i costi ma anzi una naturalezza invidiabile. Niente male nemmeno le citazioni sparse per il fumetto, così come ho apprezzato l’ironia che affiora qua e là e le trovate spiazzanti che Morrison ha saputo inventarsi (dai, l’hippy che diventa tory è spettacolare!). Della sbandierata critica alla società inglese dell’epoca, comunque, non ho riscontrato che tracce blandissime.
Il disegnatore Steve Yeowell, miracolato dalla rinuncia di Brendan McCarthy, è nettamente la parte più debole del fumetto. Anche se è sin troppo facile criticarlo visto che all’epoca fumettisticamente parlando l’Inghilterra stava appena uscendo dal Medioevo (sempre ammesso che ne sia mai uscita), è innegabile che le sue figure siano scarne e legnose così come le sue anatomie risultano spesso strampalate. Un braccio troppo lungo o una mascella sbilenca possono capitare a tutti, ma a Yeowell capitano con eccessiva frequenza. Peccato che i disegni non siano allo stesso livello dei testi, ma almeno i mostri sono resi con efficacia – e comunque da quello che ho potuto vedere mi pare che in seguito Yeowell non abbia fatto di meglio, anzi.
Ad arricchire questa edizione della Panini ci sono alcune appendici contenenti due episodi successivi alla saga portante, in cui vengono narrate le origini dei supereroi, e un apparato iconografico con copertine e sketch. Il formato scelto mi lascia perplesso: sarà anche un buon fumetto, almeno in questa sua prima apparizione, ma non mi pare che Zenith meriti i fasti di questa edizione cartonata ed extralarge in cui oltretutto i difetti di Yeowell si notano ancora di più. Forse un unico volumone integrale con carta uso mano e in formato comic book sarebbe stato meglio anche a livello economico, visto che il prezzo finale non mi sembra proprio giustificatissimo – sarà una cosa da intenditori ma è pur sempre l’asso pigliatutto Grant Morrison. Tanto più che non manca qualche perla come questa:

Le copertine della versione statunitense, poi, sono le stesse riportate sui due lati della stessa pagina!

domenica 22 marzo 2015

Michel Vaillant Nuova Stagione 3: Relazione pericolosa



Continua il nuovo ciclo della nouvelle saison di Michel Vaillant e, dannazione, non finisce. In Relazione pericolosa si scioglie qualche nodo (gli scenari catastrofici anticipati dal cliffhangerone dell’episodio precedente si rivelano molto meno devastanti del previsto) ma di carne al fuoco ce n’è ancora tanta e ne viene aggiunta altra appositamente per aprire ulreriori nuovi scenari che saranno sviluppati nei prossimi volumi. Si tratta insomma di un episodio di transizione, anche se succedono un sacco di cose, c’è qualche rivelazione inaspettata e si scoprono delle situazioni interessanti.
Per il futuro lancio di una nuova serie di vetture il clan Vaillant, costretto a creare una nuova società insieme a un altro gruppo investitore, decide di mettersi in mostra al Rallye du Valais. Per suscitare ulteriore interesse a livello mediatico il navigatore affidato a Michel è l’affascinante giornalista Carole Ouessant, che già aveva fatto scattare sull’attenti Françoise nell’episodio precedente.
Nonostante la relazione tra Michel e Carole sia l’oggetto principale di questo volume (e, tra l’altro, venga risolta in maniera non banale e credibile), succedono comunque tantissime altre cose e Relazione pericolosa offre una densità di contenuti degna del miglior fumetto franco-belga. La voglia di leggere il seguito è tantissima, ma non credo che sarà possibile soddisfarla prima di un annetto.
I disegni sono stupendi e dettagliatissimi quando si tratta di autovetture (la parte affidata a Benéteau) e perfettamente funzionali quando invece sono di scena le figure umane (competenza di Bourgne). Nonostante non siano esteticamente entusiasmanti, e a volte possano apparire anche un po’ scarne (per quanto eleganti), le immagini di Bourgne riescono a raccontare in maniera splendida le scene affidate e con pochissimi tratti il disegnatore riesce a materializzare i pensieri e i sentimenti dei personaggi. Evidentemente Bourgne non ama molto disegnare le fronde degli alberi, ma non ci si fa quasi caso.
Da notare, a livello di storytelling, la particolare scena di pagina 50 e soprattutto la seconda e terza tavola del volume, ambientate quasi in soggettiva nell’abitacolo di un’auto, in cui con una rigida serie di inquadrature praticamente fisse il disegnatore è riuscito comunque a rendere l’idea del movimento e soprattutto a creare un’inaspettata suspense quando finalmente il dettaglio delle mani nell’ultima vignetta rivela l’identità del navigatore.
Unico difetto del volume, forse attribuibile alla carta non patinata: i colori di Christian Lerolle sono piuttosto freddi.

venerdì 20 marzo 2015

Panini Comics Presenta 44 - America's got Powers 1



Temevo il peggio. Lo spunto di partenza di questo fumetto, un reality show per supereroi, oltre a essere banale (prima cosa che mi è venuta in mente: i Thunderbolts di Ellis e Deodato Jr.) mi sembra una sonora minchiata. Preso quindi solo per i disegni del redivivo Bryan Hitch, l’ho trovato meglio del previsto.
America’s got Powers è in ogni caso una rimasticatura di idee e concetti preesistenti e già sfruttati altrove ma è stata comunque una lettura non sgradevole.
«Diciassette anni fa», come scritto nell’incipit, a San Francisco è caduta una misteriosa pietra che ha fornito di superpoteri i nascituri (vedi Rising Stars di Straczinsky) che nel corso degli anni sono stati inseriti in un progetto di studio per saggiarne i poteri (vedi Supreme Power sempre di Straczinsky) che si è concretizzato nel reality show del titolo (vedi New Warriors pre-Civil War), in cui devono affrontarsi e superare prove molto violente rimettendoci non di rado le penne (vedi una caterva di film d’azione anni ’80) mentre vengono valutati da supereroi più interessati al merchandising che alle gesta eroiche, forse eroi solo di facciata (vedi X-Force di Milligan) allo scopo di entrare a far parte dell’unica squadra ufficiale di supereroi americana (vedi The Boys di Ennis). Ovviamente c’è sotto qualcos’altro e sicuramente i militari ci hanno messo lo zampino (vedi Ultimates di Millar). Il giovane Tommy Watts, nonostante sia stato irradiato dalla pietra pure lui, non ha nessun potere e conduce una vita abbastanza grama nel ricordo del fratello che invece morì misteriosamente proprio quando stava per vincere una edizione del programma: ma sarà proprio lui a salvare la situazione rivelando (oddio, per adesso facendo intuire) la sua vera natura quando il gioco andrà fuori controllo e metterà a rischio anche la vita degli spettatori (vedi Cenerentola e in generale tutte le fiabe).
Nonostante la pesante impressione di déja vu e alcuni elementi forse troppo legati alla cultura statunitense come la spettacolarizzazione ossessiva degli eventi, America’s got Powers è una lettura scorrevole e abbastanza piacevole.
Ai disegni Bryan Hitch fa un lavoro spettacolare, non lesinando sui dettagli e sulla ricerca delle inquadrature e delle pose più originali. Ovviamente con uno stile così realistico e meticoloso come il suo gli occasionali e fisiologici cedimenti risaltano di più che nelle tavole di colleghi meno bravi (cioè praticamente tutti gli altri) ma sono un prezzo molto basso da pagare per godersi queste tavole.
Peccato che il formato brossurato, sicuramente più elegante di un semplice spillato, renda difficile (o deleterio per la conservazione del fumetto) godersi le molte tavole doppie.
Nonostante le previsioni si continua.

giovedì 19 marzo 2015

O tempora, o mores

Nel corso degli ultimi giorni ho scherzato (credevo di stare scherzando) con alcuni colleghi e ho detto loro che a breve dovrebbero pubblicare pure Watchmen, Blake & Mortimer e i fumetti di Andrea Pazienza in formato bonelliano.
In risposta ho avuto qualche domanda su chi fossero gli editori e perplessità sulla resa di Jacobs in quel formato, ma nessun dubbio sulla veridicità della cosa.
A questo, siamo arrivati.

martedì 17 marzo 2015

Marvel Mega 91 - All-New Ultimates 1: Potere per potere



Questa recensione vale per tutte le considerazioni sull’Universo Ultimate che ho sempre pensato di condividere ma che alla fine non sono mai riuscito a concretizzare.
Mi pare di capire che questo All-New Ultimates sancisca il collasso dei personaggi satellitari (ovvero non Spider-Man) dell’UU in un’unica testata, a testimonianza del fatto che ormai la pluralità di ongoing e miniserie non sia più sostenibile da questa divisione editoriale della Marvel. Nonostante in terza di copertina occhieggi l’annuncio di una nuova versione degli Ultimate Fantastic Four  (o Future Foundation) la fine di questo universo e la sua prossima confluenza in quello canonico di Terra-616 sembra ormai assodata da quanto leggo su internet.
Francamente non capisco cosa non abbia funzionato nel percorso delle varie testate, almeno negli Stati Uniti. In Italia il ritmo sincopato (un fascicolo con due episodi adrenalinici, pausa di due mesi, altri due episodi di cui si vuole leggere subito il seguito, poi altri due mesi di attesa…) potrebbe avere determinato la disaffezione di alcuni lettori – se effettivamente c’è stata – ma negli States anche dopo l’ennesimo cataclisma che rimescolava le carte hanno comunque avuto la possibilità di leggersi con continuità ogni mese delle storie a mio avviso buone.
Passando ad All-New Ultimates, si tratta di una storia frizzante e abbastanza originale, in cui Spider-Man, Cloak & Dagger, la rediviva Kitty Pryde, Spider-Woman/Vedova Nera e la sconosciuta Bombshell (mi ricordo un duo di personaggi con questo nome sulle pagine di Ultimate Spider-Man, ma quelle erano madre e figlia bambina, questa è un’adolescente) formano un gruppo per far fronte all’inasprirsi della delinquenza giovanile capitanata dalla nuova gang dei Teschi-Serpente risultata dalla fusione della banda dei Teschi con quella dei Serpenti.
Per essere un fumetto di supereroi la storia è piuttosto matura: Bombshell ha addirittura una relazione con uno spacciatore di droga! Nonostante il canovaccio classico lo sviluppo della vicenda non è affatto banale e sfoggia oltretutto una densità di scrittura piuttosto rara nel genere, con qualche trovata interessante. Ci sono i cliffhanger alla fine di ogni capitolo, ci mancherebbe altro, ma Michel Fiffe introduce abbastanza situazioni, dialoghi e personaggi da garantire un tempo di lettura più che dignitoso. Non che sia stato a spulciarmi pagina per pagina, ma credo che ci siano almeno sei vignette in ogni tavola che non sia splash page.
Ai disegni Amilcar Pinna ha svolto un lavoro meticoloso, riempiendo le sue vignette di dettagli e particolari pur non rinunciando mai a una netta e gradevole leggibilità – e le sue panoramiche sono veramente degne di questo nome. A onor del vero non è che esteticamente si mantenga sempre allo stesso livello e pure a lui scappa qualche scivolone assolutamente fisiologico (sono 20 tavole dettagliatissime al mese, senza inchiostratore), come è anche vero che le sue donne non sempre sono proprio delle bellezze, ma tutta la sua passione e il suo talento si percepiscono nettamente, pur con una resa di stampa non perfetta.
Forse con questa recensione mi sono risposto da solo al quesito posto in apertura. Tutto sommato questo All-New Ultimates è solo un valido fumetto di supereroi, come oggigiorno ne esistono tanti, e la carica rivoluzionaria delle prime uscite Ultimate si è inevitabilmente persa per strada o meglio è stata assorbita e integrata dall’universo classico e non ha più ragion d’essere quella che ormai è probabilmente diventata solo una copia del nuovo (nuovo da dieci anni a questa parte) universo Marvel.

domenica 15 marzo 2015

Cosmo Color USA 12 - Le Armi del Meta-Barone 1 (?): Senza-Nome



Solo io l’ho trovato con una settimana di ritardo? Comunque:
Le Armi del Meta-Barone è il seguito de La Casta dei Meta-Baroni e immagino che il progetto originario fosse quello di dare inizio a una nuova serie che però si è arenata qui. Il fumetto è esattamente quello che mi aspettavo da Jodorowsky e Charest, anzi addirittura meglio.
Sopravvissuto all’iniziazione rituale dei Meta-Baroni, Senza-Nome è impegnato in una cerca per conto degli Intra-Dormienti che risiedono al centro dell’onfale, il cuore del suo universo a forma ottagonale, e che riescono a pacificare le menti degli abitanti della galassia coi loro influssi onirici. Una razza di «vampiri psichici dalla potenza formidabile», gli HulzGemelli, minaccia di «alterare le leggi dell’universo», e per questo è necessario che Senza-Nome trovi 4 armi (ehm, io però ne ho contate solo 3...) in grado di fermarli, da qui il titolo del volume. Un’ennesima declinazione del viaggio iniziatico da parte dell’autore dell’Incal, ulteriormente arricchita da elementi freudiani non banali, rimandi esoterici e trovate originali: l’omnigraal, una delle armi che il Meta-Barone deve recuperare, fa perdere la memoria e quindi chi lo possiede deve avere qualcuno che gli ricordi chi è e cosa sta facendo.
I disegni di Travis Charest sono spettacolari e poco importa se si è servito massicciamente del computer (e se lo dico io...). Il lavoro di cesello è impressionante e anche se la narrazione dovesse latitare (e non dico che lo fa ma si sa che davanti a disegni troppo belli c’è sempre qualche anima semplice che li accusa di leziosità) c’è l’immane suggestione di vignette e tavole doppie incredibilmente evocative.
Il passaggio del testimone a Zoran Janjetov avviene in maniera inevitabilmente traumatica. Il collaboratore storico di Jodorowsky offre una prova comunque dignitosa ma ben distante dalla esaltante grandeur di Charest. Ho riscontrato inoltre in Janjetov una declinazione eccessivamente caricaturale di alcuni elementi: quando mai il Meta-Barone ha avuto quelle sopracciglia?
Le Armi del Meta-Barone resta purtroppo una gemma isolata e da antefatto della saga che avrebbe potuto generare (si intuisce che ognuno degli otto angoli dell’universo avrebbe dovuto costituire materiale per altrettanti volumi) è finito per diventare uno one shot isolato. Potrebbe anche darsi che il volume sia il risultato del rimaneggiamento e dell’integrazione di un altro progetto ancora, visto che alla storia portante è stata aggiunta un’introduzione realizzata da Janjetov e che il corpus delle tavole di Charest è stato letterato in maniera molto diversa dal resto – o forse solo questa versione della Cosmo ha le nuvolette ellittiche con un piccolo parallelepipedo nero in cima?

venerdì 13 marzo 2015

Outcast 1: Un'oscurità lo circonda



Kyle Barnes è una calamita per la sfiga: sopravvissuto a una terribile infanzia violenta grazie al suo potere di praticare esorcismi, diventa un reietto a causa di quello stesso potere che lo ha portato a compiere azioni apparentemente riprovevoli – vallo a spiegare a tuo cognato poliziotto che non hai picchiato tua moglie e tua figlia ma i demoni che le possedevano. Con estrema riluttanza e minimizzando le sue stesse capacità paranormali, Kyle aiuta il reverendo Anderson quando si presentano nuovi casi di possessione demoniaca, che in questo universo narrativo non sembrano rari.
Kyle non si è comunque meritato l’appellativo di reietto («Outcast», appunto) a causa del suo comportamento antisociale ma perché così lo definiscono alcune delle entità con cui è venuto in contatto.
Mentre cominciamo a conoscere i protagonisti della serie e l’ambientazione in cui si muovono, un personaggio inquietante si fa vivo in chiesa e comincia a gironzolare intorno al protagonista e ai suoi cari.
Outcast è una serie originale e molto ben scritta, forse addirittura troppo ben scritta, come se si trattasse solo della prova generale per una serie televisiva di cui effettivamente riprende il ritmo, oltre a presentare alcune soluzioni narrative che sembrano pensate proprio per la traduzione da un medium all’altro, come le panoramiche seguite da dettagli chiarificatori. Ma forse sono stato influenzato in questo parere dall’editoriale trionfalistico in cui si esalta il successo di Kirkman, The Walking Dead, trasformato in telefilm.
Il disegnatore Paul Azaceta è veramente molto bravo. Batte la stessa bandiera espressionista di Michael Lark ma è molto più rigoroso, dettagliato ed espressivo basandosi con ogni probabilità su una massiccia documentazione fotografica. Come pegno per la pubblicazione in formato bonelliano, unico che evidentemente può attirare un pubblico diverso dai soliti appassionati, la saldaPress ha pubblicato Outcast in bianco e nero. Come spiegato negli editoriali posti in appendice non si è trattato di una semplice riduzione in scala di grigi ma di un lavoro di cesello fatto dallo stesso Azaceta per meglio guidare il lettore e far risaltare i disegni. Sarà, ma in qualche occasione la mancanza del colore io l’ho avvertita, ad esempio quando ci sono degli stacchi su una stessa immagine riproposta in flashback. In ogni caso niente di drammatico, anche se il pensiero va all’Aurea e alla Cosmo che effettivamente malgrado il formato bonelliano pubblicano comunque dei fumetti a colori (Ristampa Dago e una delle serie colorate, vatti a ricordare quale).
Nonostante i notevoli punti di forza che ho segnalato sopra non so se seguirò Outcast. Mi sembra che anche qui Kirkman riveli gli stessi difetti che ho riscontrato in The Walking Dead e che mi hanno fatto desistere dal proseguire (difetti che magari per qualcuno sono i suoi punti di forza): molti dialoghi sembrano artefatti, poco naturali, e la storia sembra dipanarsi con una lentezza eccessiva per i miei gusti.
Ma da qua a maggio chissà quante volte cambierò idea.

giovedì 12 marzo 2015

Blake & Mortimer 23: Il Bastone di Plutarco



In almeno un’occasione Aldo Busi ribattè a chi lo criticava che se lo si accusa di scrivere col culo gli si fa in realtà un complimento, perché la gente normale usa il culo solo per cagare e avere le emorroidi mentre lui sa impiegarlo anche in altra maniera.
Ecco: a scanso di equivoci, se dico che Alessandro Editore distribuisce i suoi volumi col culo non voglio assolutamente fargli un complimento. Dai, sul serio, l’ultimo Blake & Mortimer doveva essere la strenna natalizia e io l’ho trovato solo la settimana scorsa! E quel benedetto Matteo 3 alla fine ho dovuto cedere e comprarlo online visto che nelle fumetterie (in quelle che frequento io, almeno) non c’è stato verso che arrivasse, ammesso che arrivasse, prima del 2015 – e ufficialmente era disponibile dal 18 giugno scorso!
Sicuramente Alessandro avrà le sue ottime ragioni per lavorare in questa maniera e privilegiare il suo store virtuale e solo pochi altri canali scelti, ma è desolante vedere che praticamente l’unico editore che ormai pubblica BéDé in Italia come dio comanda stia quasi battendo in ritirata, pur con prodotti come Blueberry e autori come Juan Gimenez in catalogo.
Fine della predica, veniamo a questo nuovo Blake & Mortimer.
La storia è ambientata quasi interamente nel 1944 in piena Seconda Guerra Mondiale, il che ci permette di scoprire alcuni retroscena della carriera militare di Francis Blake. Nel corso della prima ventina di pagine la trama, nonostante una bellissima e avvincente sequenza di combattimento aereo, approfondisce con grande scrupolo documentaristico il lavoro di controspionaggio svolto dall’esercito britannico (non che io sia un esperto, ma ho visto The Imitation Game che non è tanto) e quando finalmente interviene l’elemento fantastico, o per meglio dire quello fittizio immaginato da Pierre Jacobs, ho percepito uno stacco nettissimo. Così come la citazione dell’Impero Giallo nello scacchiere delle nazioni in guerra non può che far risaltare al lettore la distanza tra la fantasia e la cruda realtà – tutto sommato Jacobs lavorava al primo episodio della serie pochissimi anni dopo quelli in cui si svolge questa vicenda.
Il Bastone di Plutarco è appunto un vero e proprio prequel del primo episodio della saga, Il Segreto dell’Espadon, in cui vengono rivelati dettagli sull’ascesa al potere del despota Basam-Damdu e approfonditi tutti i personaggi principali della saga: molto dettagliato e interessante il background di Olrik, non ricordavo invece che Mortimer fosse pure ingegnere oltre che fisico.
Il capitano Francis Blake viene invitato al centro ultrasegreto di Scaw-Fell per lavorare insieme al ritrovato Mortimer (il loro incontro giovanile era stato narrato nel numero 16) proprio al fatidico Espadon, ma nel campo viene rilevata la presenza di qualche spia e i due vengono coinvolti in una missione di controinformazione a Gibilterra. La storia è molto coinvolgente e serrata e ovviamente con il tema spionistico entra in gioco l’elemento whodunnit, che coerentemente con il resto della saga di Blake e Mortimer ha il difetto di risolversi con la rivelazione che il colpevole è il principale sospettato.

Yves Sente ha saputo intrecciare una bella rete di riferimenti agli elementi futuri della saga (molto simpatica la strizzatina d’occhio finale che rimanda al primissimo volume) e si è inventato delle ottime trovate, prima fra tutte quella dei radioindicatori per confondere il nemico. Non ha nemmeno agevolato troppo i suoi protagonisti, perché se è pur vero che Blake e Mortimer hanno avuto qualche botta di culo (il microfono della spia che guarda caso funziona male proprio al momento giusto per essere individuato) si sono dovuti comunque confrontare contro pericoli inaspettati come la contraerea amica poco ricettiva. La storia è avvincente e nonostante l’ambientazione bellica il sense of wonder si mantiene inaspettatamente a livelli alti.
André Juillard, qui coadiuvato da almeno un assistente, è formidabile. Come avevo già intravisto si sta lentamente affrancando dalla linea chiara propriamente detta, che neppure lo stesso Jacobs seguì con costanza, e adesso le pieghe degli abiti e i volti di alcuni personaggi si arricchiscono di occasionali puntini e tratteggi. Stupende anche le sue ombre e le espressioni dei personaggi. Il dinamismo di alcune scene, poi, è inarrivabile.
Scendendo nel dettaglio, le prime due vignette di pagina 37 mostrano la sua maestria nel gestire lo spazio vuoto (e l’aspettativa che si crea) tra una vignetta e l’altra, così come le ultime due di pagina 44 sono un fantastico esempio di mise-en-abîme tra vignette contigue.

L’edizione di Alessandro Editore non è del tutto scevra da errorini e refusi, ma comunque sono bazzecole rispetto a quello che si legge in giro oggigiorno.
Un bel volume che nella mia classifica personale si pone sia sopra al recente L’Onda Septimus che a tutte le stesse prove precedenti di Sente e Juillard eccezion fatta per il dittico de I Sarcofagi del Sesto Continente in cui era preponderante l’aspetto fantascientifico che amo di più. Valeva sicuramente la pena aspettarlo. Anche perché, una volta ordinato in fumetteria, non è che ci siano alternative...

martedì 10 marzo 2015

E finalmente...!

Non ho tenuto conto dei mesi trascorsi da quando l'ho ordinato ma se ben ricordo ho quasi litigato con la fumetteria perché mi sembrava impossibile che fosse passato tutto quel tempo senza che arrivasse e quindi evidentemente avevano sbagliato l'ordine o se l'erano venduto a qualcun altro...
Dopo l'exploit di S.O.S. Felicità chissà che a breve non esca pure anche C'era una volta in Francia.

domenica 8 marzo 2015

...



Adoro le collane come Marvel Universe, Marvel Mix, Marvel World, Marvel Qualsiasialtraroba. Per una manciata di euro permettono di leggere un bel po' di roba, almeno 4 comic book al colpo, occasionalmente su buona carta e stampati bene.
Poco importa se poi nei fatti il fumetto in sé è poca roba, l'impressione di aver fatto un affarone basta a farmi produrre endorfine. E' capitato con il recente Marvel Mega 91 che raccoglie i primi sei episodi della nuova (ma credo già conclusa negli Stati Uniti) serie All-New Ultimates. Il fumetto in sé non è malaccio e mi ha anche offerto il destro per questo post-pinailleur:
"...è statO feritO"
qui non si vedono bene le tette ma fidatevi: Black Racer è una donna.
...che sfoggia una cicatrice sul lato destro del volto.
Cicatrice che è sul lato destro del volto anche nel suo riflesso!
Fosse anche solo per vantarsi, è opportuno sottolineare che si è "agenti agenti" S.H.I.E.L.D.

Stavolta seguirà recensione.

sabato 7 marzo 2015

La Pro



Con la placida e compiaciuta flemma che contraddistingue le edizioni Magic Press è arrivato in fumetteria anche La Pro, ordinato talmente tanto tempo fa che ne avevo perso il ricordo.
La trama, o almeno l’ambientazione, è facilmente intuibile dal titolo o almeno dalla copertina: una cameriera che arrotonda facendo il mestiere più antico del mondo (la prostituta, non il fumettista) si ritrova con dei superpoteri e affronta alcune minacce tipiche del genere con il suo piglio non convenzionale insieme alla Lega dell’Onore, supergruppo riluttante ad avere nelle proprie fila un personaggio così pittoresco e sboccato.
È disarmante vedere come uno spunto tutto sommato simpatico (ma le origini della Pro sono quasi le stesse del Capitano di Nextwave) sia servito semplicemente per presentare un’altra variazione sul tema dei supereroi, come se le figure archetipali qui rievocate non fossero già state oggetto di innumerevoli citazioni. Sarà pure divertente e azzeccata la parodia dell’Osservatore della Marvel ma francamente quando ho visto l’ennesima reinterpretazione della Justice League (che palle!) mi son cadute le braccia. Per quanto sia ricca la lingua inglese dovrà pur arrivare un giorno in cui non si troveranno più sinonimi di Amazzone o Velocista o Paladino e gli autori cominceranno a inventarsi qualcosa di nuovo senza riciclare i cliché di 70 anni fa.
Va poi detto che alcune gag sono anche divertenti (rimanendo nel genere di Garth Ennis: culi sfondati con oggetti di ogni tipo, schizzi di sperma mortali, ecc.) ma il moralismo a buon mercato e i vaghissimi accenni di critica sociale lasciano veramente basiti per la loro gratuità e inadeguadezza, manco Ennis dovesse per forza timbrarci il cartellino. Trovo poi ipocrite le frecciatine che lo sceneggiatore lancia ai suoi stessi lettori paganti appassionati di supereroi, a cui se ho ben capito è dedicata la battuta finale. C’è poco da fare lo spiritoso visto che alla fine questo The Pro non è altro che un ennesimo What If o Elseworld considerato anche che come fumetto è poco più trasgressivo ed esplicito di un qualsiasi altro comic book, e lontano migliaia di anni da quello che si vedeva in Italia su Frigidaire negli anni ’80 e in Francia su L’Echo des Savanes e Metal Hurlant negli anni ’70.
L’obbligata autocensura a cui è costretto La Pro ne vanifica ovviamente anche tutte le possibilità come fumetto pornografico, pur se presenta qualche idea interessante – ma la dea Kalì masturbatrice se l’erano già inventata gli autori di un episodio de La Poliziotta che si trova in rete.
Ai disegni Amanda Conner è un po’ discontinua. È chiaro che virando massicciamente sul comico il suo stile non debba per forza badare troppo alle proporzioni e alla correttezza anatomica, ma occasionalmente qualche immagine è veramente troppo deforme. Credo che il suo inchiostratore (e marito, se non ricordo male) Jimmy Palmiotti sia stato determinante nel salvare più di una tavola dall’inedia grazie ai suoi neri pieni e alla modulazione sapiente del tratto stante la quasi totale assenza di dettagli. Di sicuro si vede molto di peggio sul mercato americano.
In ultima analisi, un volumetto consigliato ai soli appassionati di supereroi.

giovedì 5 marzo 2015

Historica 29 - Le Torri di Bois-Maury 2: Oltre i Pirenei



Continua la saga de Le Torri di Bois-Maury e con essa il periplo di Aymar. Penso che ci sia poco da dire sulle trame a ancor meno sulla qualità del fumetto vista la mole di edizioni e ristampe che ha meritatamente conosciuto in Italia.
A volo d’uccello: in Reinhardt Aymar e Olivier si trovano coinvolti in una truce storia di successione dinastica insieme a un cavaliere crociato, in Alda si riannodano i fili coi primi volumi in un castello retto da un demente senile raggirato da furfanti e in Sigurd è di scena una originale storia di fantasmi norreni.
Questa edizione della Mondadori è per me irrinunciabile perché finalmente sono riuscito a leggere i volumi in maniera organica e continuativa, altro che i numeri sparsi de L’Eternauta recuperati a distanza di anni l’uno dall’altro e la pessima versione su Skorpio che forse saltai del tutto visti i tremendi risultati di stampa.
Così sono finalmente riuscito a cogliere alcune cose che mi erano del tutto sfuggite dalle frammentarie letture precedenti: il tono sarcastico (rivolto in primis al protagonista) e la continuity molto precisa della serie. Insomma, più che una rilettura per me questa versione Mondadori è come se fosse la prima vera lettura.
Anche perché leggere i singoli volumi tutti d’un fiato mi ha permesso di capire molto meglio le trame dei singoli episodi visto che Hermann, mannaggia a lui, ama molto i sottintesi e i dialoghi sospesi o proprio troncati.
È anche vero che l’accostamento dei singoli episodi in un unico volumone mette in evidenza le differenze a volte molto marcate nella colorazione. Fraymond mi pare che qui non compaia, ma d’altra parte mi sembra che in questa fase della serie non fosse ancora intervenuto Pahek. Non è da escludersi che lo stesso Hermann si sia dedicato in prima persona ai colori, anche se le pesanti pennellate a tempera di Reinhardt sono ben lontane dagli spettacolari esiti che otterrà con gli acquerelli.
Comunque il volume è imperdibile ben oltre le ragioni che mi riguardano: le storie sono avvincenti (per quanto Reinhardt e Sigurd indugino troppo nel sovrannaturale per i miei gusti), i personaggi originali e Hermann è un eccellente narratore grafico, per quanto come disegnatore sia a volte veramente carente. Un volume eccezionale in cui perdersi nelle suggestioni che ha saputo creare – disegna le donne come mostri ma sa rendere le architetture e i panorami come nessun altro.

martedì 3 marzo 2015

Atroce sospetto/reprise

Dato il silenzio degli ultimi mesi/anni dubito che la Panini porterà a conclusione l'edizione degli integrali di Iznogoud. Però lo dicevo pure di Trigan Empire, e poi invece...

domenica 1 marzo 2015

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Adoro le collane come Marvel Mega, Marvel Mix, Marvel World, Marvel Qualsiasialtraroba. Per una manciata di euro permettono di leggere un bel po' di roba, almeno 4 comic book al colpo, occasionalmente su buona carta e stampati bene.
Poco importa se poi nei fatti il fumetto in sé è poca roba, l'impressione di aver fatto un affarone basta a farmi produrre endorfine. E' capitato con il recente Marvel Universe 30 che raccoglie la prima metà della serie dedicata ai New Warriors in versione “All-New”. Una storia pienamente incasellata nei canoni classici del fumetto di supereroi con qualche raro sussulto qualitativo, oltretutto disegnata in maniera discontinua (bravissimo il realistico Marcus To, quasi inguardabile per i miei gusti il poco meno che deformed Nick Roche), ma che mi ha offerto il destro per questo post-pinailleur: