domenica 28 ottobre 2012

Olivera-Dalì



Alejandro Jodorowsky racconta che quando tentò di scritturare Salvador Dalì per farlo recitare nel suo film Dune questi gli propose delle condizioni pazzesche. D’altronde era un surrealista, anzi l’unico vero surrealista a suo dire. Dio ha creato il giorno in sette giorno, ed essendo Dalì non inferiore a Dio, nemmeno lui avrebbe dovuto lavorare per più di una settimana. Ma il compenso richiesto era assurdo, più surreale che surrealista. Alla fine si accordarono per un’ora di riprese più altri contributi alla realizzazione del film, ma la cifra avrebbe comunque reso a Dalì, se il Dune di Jodorowsky fosse andato in porto, la palma dell’attore più pagato della storia del cinema.
Lucho Olivera probabilmente non ebbe lo stesso problema quando nel decimo capitolo del suo (e di Grassi) Ronar diede a uno dei personaggi le fattezze dell’artista.
Tra l’altro, quanto sarebbe bello rivedere in una degna edizione i lavori di Olivera dei tardi anni ’70...

venerdì 26 ottobre 2012

Anche i franco-belgi sbagliano



Rarissimamente, ma sbagliano pure loro. Rileggendo Lester Cockney nella versione Cosmo, qualsiasi cosa sia questa misteriosa «Cosmo», mi sono accorto di una cosa che mi era sfuggita quando avevo letto questa avventura all’epoca della Comic Art: Lester cita un avvenimento che si svolgerà oltre trent’anni dopo la data in cui è ambientata la storia!

Pensando a un errore della Cosmo mi sono andato a rivedere il volume in cui a suo tempo la Comic Art ristampò I Folli di Kabul 2 e in effetti anche lì c’è lo stesso errore, che a questo punto sicuramente risale alla fonte originale.

Incidentalmente, dal confronto tra le due versioni ci si accorge di quanto le edizioni ridotte in formato bonelliano necessitino di tagli drastici ai testi per farli stare nei balloon originali senza ridurli a una dimensione illeggibile. Era già evidente in quelli GP Publishing, ma qui lo si nota con maggiore evidenza.

giovedì 25 ottobre 2012

L'autocitazionismo di Lanciostory



Ben prima dell’omaggio di Wood e Bernet su Un Giorno un Secolo, l’Eura aveva già ospitato forse inconsapevolmente un riferimento alle sue stesse pubblicazioni.
Nella storia Un bersaglio da un milione di dollari, disegnata con ogni probabilità da Ruggero Giovannini, fa capolino in una edicola una copia di Lanciostory. Il fatto che la storia fosse ambientata negli Stati Uniti non deve apparire troppo strano nemmeno nell’ottica dell’omaggio: all’epoca le altre riviste della Lancio godevano di edizioni internazionali.
(da Lanciostory 16 del 1977)

martedì 23 ottobre 2012

Ministero dello Spazio



Dopo qualche ritardo dovuto a certe incomprensioni tra fumetteria e distribuzione (così mi è stato detto) è arrivato anche a me Ministero dello Spazio, il volume gemello di Orbiter. Anche qui Warren Ellis dimostra il suo amore per i viaggi spaziali e sfoggia una cultura invidiabile nel settore, ma il ritmo e l’atmosfera sono completamente differenti.
Non c’è l’idealismo quasi romantico di Orbiter ma una narrazione analitica che procede usando abbondanti flashback per ricostruire quello che è veramente successo dopo l’assalto dei soldati britannici alla base di Peenemunde. Warren Ellis imbastisce una distopia secondo cui la Gran Bretagna avrebbe assunto il ruolo di leader nella corsa allo spazio del secondo dopoguerra grazie appunto agli scienziati tedeschi “liberati” dal suo esercito. Nel 1945 viene istituito il Ministero dello Spazio del titolo, finanziato grazie a «un poco ortodosso sistema di finanziamento». La storia si concentra interamente sulla risoluzione del mistero relativo alla provenienza di questi fondi neri ed Ellis ne approfitta per descrivere come sarebbe stata la società inglese in varie fasi della sua storia recente se il Ministero fosse realmente esistito, e quali ripercussioni avrebbe avuto a livello mondiale.
Più riuscito di Orbiter, Ministero dello Spazio è un mix di fantapolitica, critiche alla British Way of Life, dialoghi brillanti, sedimentazione di ricordi personali, tantissimi dettagli tecnici e omaggi vari. Il tutto però procede senza particolare brio e risulta alla fine, più che un fumetto, un accattivante pamphlet che avrebbe tratto beneficio da un’altra dimensione: o un racconto breve e fulminante per porre l’accento sul “messaggio” di Ellis (splendidamente rappresentato dall’ultima vignetta piuttosto che dalla risoluzione del mistero) oppure, a voler imbastire un fumetto più canonico, una serie più articolata che approfondisse e sviluppasse certi aspetti secondari e mostrasse più nel dettaglio il mondo alternativo che Ellis ha abbozzato.
Anche perchè a ben pensarci sono ben 12,50€ per tre soli comic book, per quanto un po’ più sostanziosi della norma.
Ministero dello Spazio vanta gli splendidi disegni di Chris Weston, eccezionale anche e soprattutto nel disegnare macchinari e che scopro proprio da questo volume essere stato assistente e allievo di Don Lawrence. Certo, per quel che può valere: Nicola Pesce Editore vanifica praticamente ogni sforzo di Weston con una qualità di stampa molto bassa, producendo probabilmente alcuni dei disastri peggiori mai visti su un volume a fumetti.

sabato 20 ottobre 2012

Consigli per gli acquisti

Probabilmente a causa della copertina con una inquadratura troppo semplice e ravvicinata rispetto agli standard franco-belgi (ma anche la quarta di copertina con le anticipazioni non aiuta) mi ero immaginato che l'altra proposta dell'Editoriale Cosmo (?) oltre a Lester Cockney fosse un bonellide, forse anche per il comune tema fantascientifico che sembra andare per la maggiore in quest'ultimo periodo in quel settore.
Sbagliato: Voyager è un'altra raccolta di BéDé, in questo caso di una serie che presenta un'originale distopia nazionalista. Ripensandoci fa abbastanza sorridere l'idea della Francia come perno del potere economico nell'ultimo scorcio del XXI° secolo, con una Parigi divisa fisicamente e socialmente tra Rive Gauche e Rive Droite, ma a questo si uniscono tanti altri temi come i viaggi nel tempo, le bande giovanili, una società totalitaria che opprime tramite la tecnologia, la presenza di un misterioso messia, ecc. Oltre all'assunto di base non c'è quasi nulla che non si sia già visto altrove, ma gli ingredienti sono miscelati con classe e non solo con consumata professionalità.
Nonostante l'assenza del colore si faccia sentire e nonostante le prime pagine soffrano occasionalmente di una qualità di stampa non felice come negli altri albi simili (ma nulla di scandaloso, comunque) questo Voyager è consigliatissimo.

venerdì 19 ottobre 2012

Il finale di Kick-Ass 2



Fine della corsa per Kick-Ass 2. In sintesi, la storia più convincente di Millar degli ultimi tempi e una delle sue migliori in assoluto.
Nessuna delusione per un finale raffazzonato, consolatorio o fastidiosamente beffardo come ne ha scritti fin troppi ultimamente, anzi l’ultimo blocco si legge con piacere e la conclusione è veramente originale e inaspettata. Il tanto sbandierato scontro tra Hit-Girl e Madre Russia, poi, si risolve tutto sommato in poche pagine (come in fondo sarebbe realistico data la concitazione di quei momenti) e di carne al fuoco qui ce n’è molta di più.
Quello che ho apprezzato di più oltre al bel finale sono i dettagli, le pennellate di realismo (e stavo per metterci le virgolette a realismo ma poi riflettendoci non è stato il caso) che costellano la storia. Nonostante i pupazzetti di Romita Jr. tanti dialoghi e tante reazioni dei personaggi sono più veri che i cosplayer che campeggiano in alcune delle variant cover.
Un ottimo fumetto, che per l’occasione sfoggia anche dei redazionali interessanti e approfonditi e non più autoassolutori come negli altri numeri. Questa volta Millar non è proprio riuscito a deludermi, magari si rifarà con l’annunciato terzo capitolo delle avventure di Kick-Ass.

giovedì 18 ottobre 2012

Ancora BéDé/Bonelli

Stamattina ho trovato in edicola una sorpresa assolutamente inaspettata: una nuova casa editrice si è lanciata nel settore delle BéDé bonellidi, esordendo (ma totalmente in sordina, non ho visto annunci su internet nè altrove) con Lester Cockney del grande Franz. E prossimamente pubblicheranno persino Giacomo C. di Dufaux e Griffo!
Che sia veramente l'alba di una nuova epoca per il fumetto franco-belga in Italia?

lunedì 15 ottobre 2012

12 L'Amata



L’ultima fatica di François Schuiten è un’opera originale, appassionante e suggestiva. Perfino commovente, a voler interpretare le ultime pagine con l’appropriata chiave simbolica. Narrata in maniera esemplare con un ritmo che accelera delicatamente e con una galleria di personaggi splendidamente delineati (ma senza ricorrere a un pesante didascalismo per farlo), 12 L’Amata sfrutta con sapienza le suggestioni del viaggio iniziatico ma si presterebbe anche a sviscerare tanti altri argomenti:

-         Il discorso sulla necessità di preservare il proprio passato per tramandarlo alle generazioni successive
-         Il feticismo nobilitato e riportato al suo ruolo originale di metonimia dell’amore e non banale perversione, sia esso passione per una locomotiva, per una serie di statue, per il furto, per le reliquie del passato...
-         Le condizioni a cui un uomo può ridursi per assecondare le proprie ossessioni
-         La ricostruzione scrupolosa e dettagliatissima di un universo lavorativo che deve aver richiesto moltissimo impegno e documentazione, e le vedute naturalistiche non sono affatto da meno
-         Gli scorci di archeologia industriale che incombono come un memento sulla storia
-         La ricognizione sulle condizioni lavorative drammatiche della categoria dei ferrovieri a vapore, che diventano poi come in un macabro gioco del domino le stesse condizioni che riguarderanno chi aveva soppiantato i primi, e che riteneva il proprio nuovo lavoro sicuro e inattaccabile (una tragica cassandra oracolare soprattutto di questi tempi)
-         Il ruolo attivo che gli anziani e gli handicappati possono avere e la dignità che la società dovrebbe garantire loro

Ecco, appunto «si presterebbe». Perchè di fronte alle tavole raffinate, dettagliatissime e splendidamente architettate di François Schuiten ogni altra considerazione va a farsi benedire. Abbandonando il rigore al bulino che da sempre ne caratterizza lo stile avvicinandolo alle incisione e lavorando pesantemente di biacca e tratti spezzati, qui Schuiten arricchisce le sue tavole con una vivacità e con una grezza espressività che secondo me è ancora più efficace che non le sue splendide prove precedenti.
12 L’Amata è veramente un volume meraviglioso, consigliatissimo tanto più che il prezzo non è nemmeno poi così alto per un volumone cartonato di grande formato (24x32? Non ho la squadra sotto mano) che presenta pure una ricca sezione redazionale con relative fotografie d’archivio e illustrazioni tecniche. Cosa fondamentale, è stampato con una qualità che ormai in Italia solo Alessandro Editore e pochissimi altri sanno garantire.
Se poi questo fumetto fosse anche la marchettona che da nessuna parte si nega che sia (Schuiten è reduce dalla progettazione del nuovo look della stazione dei treni di Schaerbeek), poco cambia: anche Sulla Stella di Moebius nasceva come depliant pubblicitario per la Citröen, e 12 L’Amata gli è senz’altro superiore.
Unica perplessità che mi ha lasciato il volume è il ringraziamento rivolto a Jaco Van Dormael (regista belga di cui un amico cinefilo mi impose la visione dei film), apparentemente partecipe nella stesura o almeno nella supervisione della storia. Vedo assai poche affinità tra il mondo rudemente grottesco di Van Dormael e l’opera di Schuiten, che pure collaborò col regista. E d’altra parte Schuiten non ha certo bisogno di nobilitare il proprio lavoro vantando conoscenze altolocate!

venerdì 12 ottobre 2012

Il primo vero Before Watchmen...



…era un gioco di ruolo. O meglio un modulo per un gioco di ruolo, il DC Heroes della Mayfair Games. Uscito nel 1987 ad opera di Dan Greenberg, curiosamente molto assonante con Daniel Dreiberg, Who Watches the Watchmen? è ambientato nel 1966 e pur nella semplicità del plot (o forse proprio a causa della semplicità del plot) descrive molto in profondità i personaggi del cast e rivela cose su di loro che si trovano solo tra le sue pagine e non nel fumetto.
Chissà, forse a Greenberg della storia di Moore non importava nulla e non si è fatto alcuno scrupolo a inventarsi alcuni particolari senza alcun editor a correggerlo, però il risultato finale è veramente impressionante. E in ogni caso Greenberg dimostra una grandissima preparazione sul mondo in cui è ambientato Watchmen, evidentemente frutto di un lungo studio e di una attenta analisi (anche se non mi torna che nel 1966 Rorschach lavorasse ancora in quella fabbrica di vestiti). A me questo Who Watches the Watchmen? sembra rappresentare molto di più il canone di Watchmen che non il famigerato Before Watchmen, pur con una rappresentazione di Capitan Metropolis decisamente più estrema di quella che ero portato a credere dalla lettura del fumetto. Ma la cosa, anche ammesso che sia un difetto, è controbilanciata da una splendida interpretazione del carattere del Dottor Manhattan e dei suoi poteri. E poi in fondo è solo Capitan Metropolis, chi se ne frega.
Pare che questo modulo sia molto ricercato non solo dai collezionisti di giochi di ruolo ma anche dagli appassionati di materiale watchmeniano, attratti sia dalle informazioni inedite che vanno oltre quanto scritto da Moore sia dai bei disegni che Dave Gibbons fece appositamente.

lunedì 8 ottobre 2012

Fumettisti d'invenzione! - 49



Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

FLEX MENTALLO (IDEM)
(Stati Uniti 1996, © DC Comics/Vertigo, supereroi)
Grant Morrison (T), Frank Quitely [Vincent Deighan] (D)

Spin-off della gestione morrisoniana della Doom Patrol. Il disadattato Wally Sage deve finalmente venire a patti con le sue creazioni fumettistiche giovanili. Nel frattempo Flex Mentallo, supereroe che possiede il “Mistero Muscolare”, indaga sugli strani effetti surreali che stanno minacciando la sua realtà.
Nei capitoli introduttivi al fumetto (fondamentali per capire la storia) vengono narrate le vite di alcuni fumettisti d’invenzione: il disegnatore veterano Chuck “il Capo” Fiasco, il ricco editore ereditiero Ashley DuBois che si improvvisa sceneggiatore per sfogare i suoi fantasmi omosessuali e ovviamente lo stesso Wallace Sage a cui si deve il rilancio di Flex Mentallo nella Silver Age.

Pseudofumetti: Rasslin’ Men e Flex Mentallo pubblicati dalla Manly Comics, l’antologica My Greenest Adventure (che compare anche in Doom Patrol), Lord Limbo, Mandoo the Mysterious, Nanoman, The Golden Agent e Outerboy della Stellar Comics. Titoli citati come esempi del declino sofferto dai supereroi negli anni ’50 in favore di altri generi sono Spurious Love Stories, Our Violent Fathers, Mr. Masked Armed Robber e Web of Misery. The Fleshless Ones è invece un fumetto hard in bianco e nero.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

LE ROMANTISME ABSOLU
(Francia 1978, in Fluide Glacial, © A.U.D.I.E., surrealismo)
Daniel Goossens

Breve racconto surreale in cui vengono raccolte varie micro-storie tutte intitolate Drame d’Amour. L’opera è introdotta da un fumettista che parla del suo lavoro citando anche un suo collega, parodia di Walt Disney. Non mancano nemmeno citazioni dirette di altri autori e personaggi di Fluide Glacial.

[TELEVISIONE] CARTOONIST COME PROTAGONISTA (pag. 113)

ONE TREE HILL (idem, RaiDue)
(USA 2003/2012, 9 stagioni, 187 episodi)
Teen drama, The WB Television Network, creato da Mark Schwahn. Con James Lafferty, Chad Michael Murray.

Le vicende dei fratellastri Nathan e Lucas Scott dal liceo alla vita adulta. Peyton, fidanzata e poi moglie di Lucas, si diletta a realizzare vignette e brevi fumetti con cui sottolinea alcuni aspetti della sua vita. Il suo stile non si mantiene però coerente di episodio in episodio e in alcuni casi la matrice artigianale dei suoi lavori è alquanto dubbia.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

CATTIVIK
(Italia 1970, in Tiramolla [il personaggio nacque a metà anni ’60 per una storia a diffusione limitata su un giornale studentesco modenese], © McKenzie, comico)
Bonvi [Franco Bonvicini]


Parodia demenziale dei fumetti neri, Cattivik è un mostriciattolo che cerca di perpetrare delitti di cui rimane regolarmente vittima. Creato da Bonvi, il personaggio è passato nelle mani del suo assistente Silver (Guido Silvestri) che ne ha definito le fattezze con cui è oggi conosciuto.
Le storie di Cattivik sono piene di riferimenti metanarrativi e spesso alcuni dei suoi autori si divertono a citarsi vicendevolmente.

Il Santino di Allah in Cattivik (1993). Moreno Burattini (T), Giorgio Sommacal (D)
Cattivik è infastidito da una rumorosa mostra mercato di fumetti e per rappresaglia cerca di rubare un preziosissimo pezzo da collezione: il santino di Allah ambito anche da Battista il Collezionista (personaggio creato dal solo Burattini per la prozine Collezionare).
Pseudofumetti: oltre ai fumetti realmente esistenti in questa storia vengono citati anche Dylan Don, Martin Clystere, Diavolik (che però è anche un personaggio “reale” all’interno di questo episodio) e Sesso Sozzo.

domenica 7 ottobre 2012

Kick-Ass 2 - il musical



Mark Millar, che vanta un pedigree da sindacalista, rappresenta per il fumetto l’esempio perfetto di capitalismo selvaggio. È in grado di creare un clamore intorno alle sue nuove produzioni notevole persino per gli standard statunitensi e persegue con determinazione il mandato secondo cui le sue storie devono programmaticamente essere incomplete, insoddisfacenti, in modo da generare delusione nel pubblico e spingerlo a ritentare la sorte con il suo prossimo fumetto, creando un circolo virtuoso di cui beneficiano i suoi editori e il suo portafoglio.
La critica che più spesso viene mossa a Millar nell’ultimo periodo, oltre al poco impegno, è che le sue storie a fumetti ricordano un po’ troppo delle sceneggiature cinematografiche già pronte per l’uso, probabilmente perchè nelle sue intenzioni sono solo il viatico per nuove e più redditizie produzioni hollywoodiane dopo Wanted. In effetti questo è particolarmente evidente in opere come 1985, Superior e persino nel primo Kick-Ass, ma lo stesso si può dire anche di Old Man Logan che oltre alla struttura degli script hollywoodiani si basa pure su un argomento forte e immediato come l’exploitation. Non so dove finisca la causa e dove cominci l’effetto, ignoro cioè se la struttura delle miniserie (organizzate molto razionalmente in 6 o 8 episodi di durata pressochè identica) abbia fornito l’occasione per mettere in pratica con naturalezza il più classico schema cinematografico oppure se questo tipo di struttura fosse già nelle intenzioni di Millar e il formato delle miniserie l’abbia semplicemente resa più evidente. Sta di fatto che una divisione in 6, 7 o 8 episodi (o anche nei 4 di Nemesis, ma lì è meno evidente) si presta molto bene a un’organizzazione della storia secondo lo schema “introduzione-ace-in-the-hole-risoluzione”, addirittura pedissequo in 1985.
Con Kick-Ass 2 questo stato di cose è radicalmente cambiato. La miniserie originale non mi era dispiaciuta (parlando sempre e solo dei testi di Millar, chè i disegni di Romita Jr. erano inguardabili addirittura più del solito). Si inseriva però in un solco tutto sommato classico, in cui l’unico elemento originale era l’ambientazione tra nerd persi che si travestivano da supereroi. E anche quello in realtà non era poi così originale. Balls to the wall, questo il sottotitolo di Kick-Ass 2, inizia con un flash-forward come da più banale tradizione dell’ultima wave hollywoodiana ma a volerli cogliere ci sono segnali di rinnovamento sin dalla fine del primo numero (intendo quello italiano, che raccoglie i numeri 1 e 2 dell’edizione originale). Bisogna però attendere la seconda uscita per avere conferma che la violenza gettata lì quasi con noncuranza o forse tanto per far ridere nell’episodio precedente era il primo segnale di una svolta decisa che dall’esecuzione di Sal Bertolini in poi si svilupperà tramite una spirale centrifuga aumentando sempre di più la sua portata e rilanciando con ammirevole coerenza quello che scopriamo essere l’assunto della storia.
È anche vero che al ritmato procedere di questo meccanismo corrisponde una progressiva perdita di realismo e la bella sequenza coi real life superheroes che fanno volontariato, le considerazioni di Dave Lizewski sulla necessità di confondersi con la massa piuttosto che emergere e le sue patetiche ma commoventi paturnie adolescenziali lasciano il posto a situazioni che mettono a dura prova la sospensione dell’incredulità del lettore.
Sarà per questo che Marco Ricompensa nella rubrica «ass kicked» in appendice agli ultimi albetti si premura di ripetere che ormai non è più realistico, è tutto finto, ecc.? No, probabilmente è per prendere le distanze dalla violenza dell’opera, ora che è presentata in versione popolare di più facile consultabilità ai lettori più giovani, stesso motivo (immagino) per cui il Mother Fucker è rimasto appunto il Mother Fucker senza che il nome venisse tradotto.
Sappiamo già come finirà la storia. Ci è stato detto sin dall’inizio (e ripetuto negli editoriali, e comunque lo avremmo intuito comunque) che ci sarà uno spettacolare evento finale, la battaglia di Times Square verso cui è spostato il baricentro della storia. A chiudere Kick-Ass 2 non sarà quindi una semplice risoluzione degli eventi, o almeno non solo quella, ma una trovata spettacolare che costituisce il nocciolo della vicenda e a cui la vicenda stessa tende freneticamente. E pare che ci saranno due primedonne a condurre le danze, Madre Russia e Hit-Girl. Il tasso di realismo della storia si fa sempre più labile a mano a mano che questa procede, in un susseguirsi di trovate flamboyant che servono solo ad avvicinarci verso il finale pirotecnico anticipandone il pathos.
Insomma, questo secondo capitolo delle avventure del nerd supereroe è a tutti gli effetti un musical.
Come nei musical, infatti, il principale motivo d’interesse è l’esibizione finale, e come nei musical la situazione di partenza è solo un pretesto, un modo per dare una parvenza di background coerente con quello che si vuole raggiungere. Il risultato mi sembra notevole, pur se all’altare dell’evento finale vengono sacrificate le belle e suggestive pennellate di “realismo” che Millar ha saputo regalarci fino a tre quarti del secondo comic book originale. Un po’ dispiace perchè anche solo grazie a quelle questo sequel mi era parso migliore del modello di partenza, ma evidentemente il dito indicava la luna e io mi son fermato ad ammirare il dito. A questo punto non so nemmeno se prendere l’ultimo dei quattro volumetti Panini, tanto è il piacere di avere assistito a un progetto così originale nel panorama USA e soprattutto nella produzione stessa di Millar. E francamente non so se prenderlo anche per il timore che il buon Millar riesca a deludere anche lì pur con tutto questo bell’impianto che già di per sè è una goduria.
Mi resta un dubbio: ma i mafiosi da operetta che compaiono in Kick-Ass sono un’esasperazione voluta di un modello stereotipato (già grottesco di suo) o la cronaca nera newyorkese registra veramente le malefatte di fenomeni da baraccone come questi?